Nonostante i vertici della Rai
non abbiano voluto rinnovargli il contratto, perdendo così in un sol colpo
milioni di telespettatori, uno dei conduttori più competenti italiani e tutti i
soldi (ed erano molti) provenienti dalle pubblicità, Michele Santoro ritorna a
condurre un talk show alla sua maniera, lontano dalla tv di stato.
Il nuovo/vecchio programma si
chiamerà “Servizio Pubblico”, sarà ovviamente talk di approfondimento politico
ma non solo, in quanto andrà a trattare tutti i temi di attualità maggiormente
meritevoli di attenzione. Ad esso parteciperanno i “soliti” Marco Travaglio,
Vauro Senesi e soprattutto anche il giornalista Sandro Ruotolo che, proprio per
poter partecipare alla realizzazione del programma, ha recentemente rescisso il
suo contratto con la Rai.
L’inizio del nuovo show è fissato
per Giovedì 3 Novembre alle ore 21, sarà possibile vederlo su Sky sui canali
100, 500 e 504, su numerosissime tv regionali del digitale terrestre e anche su
Internet in streaming gratuito dai siti serviziopubblico.it, il Fatto
Quotidiano, Repubblica e Corriere della Sera.
Per presentare il programma è
stato realizzato un video dal vignettista Vauro nel quale vi è uno “strano
figuro” che molto diligentemente ma soprattutto con tanto entusiasmo vi
spiegherà le ragioni per cui è stato realizzato tale show, chi vi prenderà
parte e dove sarà possibile vederlo.
Michele Santoro torna quindi a
fare quello che in Rai gli hanno ingiustamente impedito di fare, cancellando un
programma che, per tutta la sua durata, ha costantemente battuto la concorrenza
diretta e non in quanto a share televisivo. Il titolo del nuovo show, a mio
modo di vedere, può quindi esser letto come messaggio ulteriore ai vertici
(politicizzati) della tv di stato: i telespettatori, pagando il canone, hanno il
diritto di vedere ciò che preferiscono; negare tale possibilità cancellando uno
dei programmi più seguiti va contro ciò che normalmente dovrebbe essere la
logica di una tv pubblica; Santoro quindi torna a svolgere un Servizio Pubblico
per tutti coloro che ne volevano/vorranno usufruirne.
Dopo il singolo estivo Gira l'estate, L'Aura ritorna con Eclissi del cuore, in duetto con Nek. Se questo titolo non vi è nuovo e notate una certa somiglianza con il successo del 1983, Total eclipse of the heart, non è un caso. Il nuovo singolo di L'Aura è infatti una cover del brano di Bonnie Tyler, con testo adattato in italiano, ed era già contenuta, cantata solo da L'Aura, nell'EP Sei come me .
La canzone si avvale ora della seconda voce e dei cori di Nek per una versione praticamente identica all'originale: pressochè lo stesso arrangiamento e veramente poca originalità. La stessa poca originalità che ritroviamo nei recenti lavori di L'Aura: i fasti di Okumuki e Demian sono lontani anni luce, per un'artista che ora si è decisamente banalizzata, perdendo ciò che la rendeva interessante e unica nel panorama musicale italiano. Una decisa virata verso il pop più italiano che ci sia, fatto di lente ballate melodiche, che non lascia spazio a sperimentazioni e scelte più particolari.
Parallelamente a questo cambiamento, vi sono state delle scelte discografiche, ma anche di immagine e comunicazione, da parte della casa discografica Sony/Bmg decisamente discutibili. Per esempio la pubblicazione di un best of dopo solo due album, o di un EP di sole sei canzoni, in cui si punta sull'immagine della cantante (fino a girare un videoclip nuda), certamente molto gradevole, invece che sul suo talento creativo. O ancora la chiusura del sito ufficiale di L'Aura, strutturato come un blog e quindi a stretto contatto con i fans, a favore di un freddo sito istituzionale. Per non parlare poi di un secondo EP, previsto inizialmente per l'autunno e che ora è misteriosamente slittato a gennaio, contenente Gira l'estate e Eclissi del cuore.
Dico io: perchè buttarsi in un certo tipo di mercato discografico che ha le sue regole e la sua crudeltà, bruciando una cantautrice molto apprezzata, se non si è sicuri di un ritorno economico adeguato (che potrebbe seppellire le ambizioni)? Non era meglio per tutti lasciare L'Aura nel suo mondo, sicuramente più di nicchia ma di sicura efficacia?
Interrogativi a cui non si può dare una risposta. Attendiamo e osserviamo ciò che verrà e nel mentre godiamoci il nuovo singolo di L'Aura, che resta comunque una cantante di talento. Speriamo non venga sprecato del tutto.
TORNERAI?
Ogni tanto sto da sola e sono sicura che non mi ritroverai TORNERAI
Ogni tanto sono stanca di riascoltarmi mentre piango la mia infelicità TORNERAI
Ogni tanto guardo indietro e scopro come il meglio di questi anni sia passato di già TORNERAI
Ogni tanto tremo di paura ma poi nei tuo occhi sento quello che sei TORNERAI, NON SAI
Che ogni tanto cado e non ci sei TORNERAI, NON SAI
Che ogni tanto cado e non ci sei
Ora ti voglio più che mai Ora ti voglio qui per sempre Se solo tu mi sfiorerai Ci stringeremo eternamente Ce la faremo se tu vorrai Non sbaglieremo mai Insieme cambieremo questa nostra realtà Il tuo Amore è come un'ombra che non mi lascia mai E' come dici tu Qui nella oscurità La luce si confonde con la felicità Ti voglio qui più che mai Per sempre tu mi stringerai (Per sempre tu mi stringerai)
Tempo fa speravo in una storia con te Ed ora è solo un'assurdità Se non ci pensi tu Eclissi del cuore sarà
TORNERAI
Ogni tanto so che non sarai mai quell'uomo che davvero io vorrei TORNERAI
Ogni tanto so che sei quell'unico che sa come trattarmi nonostante i miei guai TORNERAI
Ogni tanto so che nell'intero universo non c'è niente che somigli un po' a te TORNERAI
Ogni tanto so che non c'è niente di meglio e niente che per te non farei TORNERAI, NON SAI
Che ogni tanto cado e non ci sei TORNERAI, NON SAI
Che ogni tanto cado e non ci sei
Ora ti voglio più che mai Ora ti voglio qui per sempre Se solo tu mi sfiorerai Ci stringeremo eternamente Ce la faremo se tu vorrai Non sbaglieremo mai Insieme cambieremo questa nostra realtà Il tuo Amore è come un'ombra che non mi lascia mai E come dici tu Qui nella oscurità La luce si confonde con la felicità Ti voglio qui più che mai Per sempre tu mi stringerai (Per sempre tu mi stringerai)
Tempo fa speravo in una storia con te Ed ora è solo un'assurdità Se tanto non ci sei Eclissi del cuore sarà Eclissi del cuore sarà ECLISSI DEL CUORE SARA'
Apriamo il nostro nuovo appuntamento con il ritorno di un grande della musica italiana, Gianluca Grignani, che, approfittando della visibilità data dalla sua sfortunata partecipazione al talent Star Academy in qualità di vocal coach, consegna alle radio il singolo Un ciao dentro un addio, che anticipa Natura umana, nuovo album in uscita a fine ottobre. A un primo ascolto la canzone può sembrare la solita ballata rock in stile Grignani e il secondo ascolto lo conferma pienamente; nonostante questo il brano risulta convincente per l’andamento rock e per un testo che con parole semplici esprime alla perfezione la condizione di un uomo abbandonato che dopo aver fatto di tutto per salvare il rapporto prende coscienza del suo valore e va oltre la sofferenza e il dolore, superando l’illusione di un futuro ancora insieme, di quel “ciao dentro un addio”.
"E poi vado via perché per bella come sei cambierei un'altra volta idea. E poi l'ingenuo sono io, Con un ciao dentro un addio”
Pochi di voi conosceranno Niccolò Agliardi, artista italiano che ha collaborato in qualità di autore con numerosi grandi artisti: Elisa, Fabi, Grignani, Mietta, Oxa, Pausini, Ramazzotti, Mika, Zampaglione, Zucchero e tanti altri. Dal 2005 Agliardi ha una carriera tutta sua ed è di recente uscita il singolo Qualcosa vicino all’amore, primo estratto da Non vale tutto. Una canzone molto dolce che si avvale della voce calda di Patrizia Laquidara e che racconta l’imprevedibilità di essere insieme vicini all’amore, senza la presunzione di sapere con sicurezza cosa sia.
Voltiamo decisamente pagina con un brano che sta spopolando in tutte le radio: parliamo della collaborazione tra i Gym Class Heroes e Adam Levine, frontman dei Maroon 5. Stereo hearts contrappone la voce squillante del ritornello al rap serrato della strofa: a mio parere queste due componenti sono un po’ troppo in contrasto e non c’è molta continuità, tant’è che il ritornello si interrompe del tutto e inizia il rap. Com’è ovvio che sia la melodia di Adam Levine tiene in piedi il pezzo e sta rendendo Stereo hearts una hit radiofonica in tutto il mondo.
A proposito di successi radiofonici, come non parlare di I won’t let you go, nuovo singolo di James Morrison, tratto da The awakening. Lo stile è sempre lo stesso ma la melodia di questo brano ha catturato l’attenzione del grande pubblico più dei vecchi successi di James Morrison, forse anche grazie a un testo molto romantico di un uomo che vuole aiutare la sua compagna a superare le difficoltà, invitandola a vivere e amare.
“Close your eyes and you might believe
That there is some way out, yeah
Open up
Open up your heart to me now
Let it all come pouring out
There's nothing I can't take
If there's love just feel it
And if there's life we'll see it
This is no time to be alone, alone, yeah
I won't let you go”
Arrivata al successo in Italia solo quest’estate grazie al tormentone estivo Shimbalaiê, Maria Gadù ci riprova con un secondo singolo tratto dal suo album omonimo, uscito nel 2009. Si passa al francese con Ne me quitte pas, classico della musica d’oltralpe di Jacques Brel, interpretata tra gli altri anche da Nina Simone e Frank Sinatra.
Torniamo nel nostro Paese con il ritorno sulla scena de Le Vibrazioni che pubblicano il loro primo greatest hits dal titolo Come far nascere un fiore, titolo anche dell’unico inedito; anche Arisa approfitta dalla sua presenza a X-Factor e firma la colonna sonora del film La peggior settimana della mia vita con L’amor sei tu, mantenendo la solita leggerezza ma confermandosi un’ottima interprete, lontana dall’idea che molti hanno di lei; a breve distanza dal primo singolo Brucerò per te, i Negrita propongono un secondo estratto dall’album Dannato vivere, dal titolo Fuori controllo, più ritmato ma meno appetibile del suo predecessore; quinto singolo per i Subsonica che, dopo Tra gli dei con i Club Dogo, scelgono il lento Quando, che anticipa una nuova versione dell’album Eden che conterrà due nuovi inediti e qualche remix; deluxe edition di Reality and fantasy per la rivelazione dell’anno Raphael Gualazzi e nuovo singolo, Love goes down slowly, molto allegro e scanzonato; La fine di Gaia è il quarto estratto da Il sogno eretico per Caparezza.
Come la scorsa volta, sforo un attimo dal mio seminato per proporvi due canzoni dance: la prima è Cinema di Benny Benassi che si avvale della voce di Gary Go e del suo falsetto mentre la seconda è Changed the way you kiss me di Example, cantante e rapper britannico. Entrambi ottimi esempi di come si possa fare musica dance senza banalizzare il genere.
Ultime segnalazioni veloci: Simone Cristicchi firma la colonna sonora del film Cose dell’altro mondo con un brano omonimo; Simona Molinari reinterpreta un classico come In cerca di te con la collaborazione di Peter Cincotti; il ritorno di Tiziano Ferro si chiama La differenza tra me e te e anticipa il nuovo album L’amore è una cosa semplice; dopo La cucina giapponese, Matteo Becucci torna con Fare a meno di te; il secondo singolo dei Rio è la title-track Mediterraneo; in questi giorni è uscito Mylo Xyloto, l’attesissimo disco dei Coldplay, accompagnato da Paradise; sorprendente il ritorno di Adriano Celentano con Non ti accorgevi di me, che si avvale della collaborazione dei Negramaro; altrettanto interessante è il primo singolo dell’artista britannica Charlene Soraia, una dolce cover di Wherever you will go, incisa per uno spot Twinings; infine Marco Mengoni propone un nuovo singolo, tratto dall’album Solo 2.0, dal titolo Tanto il resto cambia.
“Non so chi mi aiuterà a dimenticarti quando me ne andrò da qui.
Quanto male ci starò che sarai di un altro.. lo so ma è giusto così”
Pubblicato nel 1976 da Mondadori,
Bar Sport è stato il libro d’esordio del famoso giornalista e scrittore
bolognese Stefano Benni. Il successo di questo romanzo privo di trama, composto
da aneddoti e situazioni umoristiche relative a una miriade di personaggi “da
bar”, fu enorme, tanto da spingere Benni a scriverne il seguito Bar Sport
Duemila, edito da Feltrinelli nel 1997, e le case di produzione Aurora Film
e Rai Cinema a trasporlo, oggi, sul grande schermo. Sceneggiato e diretto da
Massimo Martelli, regista teatrale e televisivo oltre che cinematografico, Bar
Sport è uscito nelle sale il 21 ottobre con un battage pubblicitario
notevole, dovuto al nutrito cast di comici famosi e al tema leggero che può
interessare tutte le età, soprattutto coloro che un qualche Bar Sport l’hanno
frequentato davvero.
Esattamente come nel libro, la
narrativa del film è affidata a una serie di personaggi a cavallo tra
stereotipo ed esagerazione. Giuseppe Battiston è Onassis, il barista tirchio e
imbranato con le donne che negli anni Settanta apre e gestisce il Bar Sport in
un imprecisato paesino dalle parti di Bologna (il film è stato girato a
Sant’Agata Bolognese); Claudio Bisio, star del film, è Eros, detto “il tecnico”
per la sua incredibile preparazione (cialtronesca) su qualunque argomento,
colui che deve sempre intervenire in ogni discussione e materia per sembrare
più erudito e vissuto degli altri, fino all’assurdo; Antonio Catania è Muzzi,
scontroso e salace fino alla misantropia, sempre pronto ad attaccare i propri
amici con battute maligne; Aura Rolenzetti è Clara, giovane cassiera dalla
bellezza mediterranea e dall’apparente ingenuità di cui Onassis si innamora
istantaneamente; Antonio Cornacchione è Bovinelli, elettricista(?) incapace ma
ostinato, perennemente impegnato nel tentativo di far accendere l’insegna del
bar; Angela Finocchiaro e Lunetta Savino sono le due vecchie comari pettegole,
insediatesi in un angolo del locale per sparlare di tutti; Alessandro Sampaoli
è Poluzzi, l’innamorato sofferente che passa il tempo alla cornetta del
telefono sperando nel ritorno della sua amata; Teo Teocoli è l’anziano play-boy
che si reca al bar solo per vantarsi delle sue inesistenti conquiste amorose;
Claudio Amendola entra in scena solo a fine film per insidiare la longevità
della Luisona, la pericolosa pasta gigante che il bar espone da anni senza che
nessuno osi mangiarla. Poi ci sono il “cinno”, ovvero il ragazzino tuttofare
appassionato di ciclismo, il ragioniere geloso della bella moglie, il timido
inetto, la prostituta, il professore esperto di fondoschiena femminili,
l’anziano catarroso, i loschi frequentatori dell’odiato Bar Moka...
I numerosi brevi episodi di cui è
composto il film rispecchiano l’Italia popolare di quarant’anni fa e i suoi
svaghi, quando la frequentazione del solito bar era molto più che un semplice
rituale. La partita di calcio si ascoltava insieme alla radio o si seguiva
nella televisione del bar, si sceglievano canzoni al jukebox e ci si sfidava a
flipper; dal paese si usciva solo per una scampagnata o per una trasferta
sportiva. Questo accento sulla quotidianità e sulla comicità di situazioni
comuni mitizzate, in quello che è un microcosmo di caratteri e macchiette,
rende il film non adatto a tutti i palati: lo spettatore che si aspetta una
trama unitaria o un umorismo più incisivo resterà irrimediabilmente deluso. Non
tutti gli episodi, inoltre, sono divertenti, in particolare quello della gita
in campagna risalta per la grave povertà di spunti comici. Tra i punti positivi
del film spiccano le sequenze animate sui ciclisti Pozzi e Girardoux e sul
calciatore Piva, protagonisti delle storie surreali e quasi epiche raccontate
da Eros, per l’alta qualità dei disegni di Giuseppe Maurizio Laganà (animatore
e regista a lungo collaboratore di Bruno Bozzetto) e l’avvincente affabulazione
di Bisio. Quest’ultimo è forse il miglior attore del film, aiutato anche da un
ruolo perfettamente congeniale alla sua personale comicità, insieme a
Cornacchione e a Bob Messini che interpreta il candido Cocosecco; un po’
deludenti Battiston e Catania. Impossibile non rimarcare l’intenso sex appeal
di Aura Rolenzetti, reduce dell’Isola dei Famosi 7 e già vista al cinema
in AlbaKiara, attrice che senza dubbio brilla più per il suo aspetto che
non per il suo personaggio in quello che è un film profondamente e
inevitabilmente maschilista.
L'altro giorno, guidando per Torino con l'autoradio accesa, ascolto Linus e Nicola Savino a DeeJay chiama Italia, programma mattutino di punta di Radio DeeJay. I due conduttori a un certo punto parlanodi uno spot inglese di una nota marca di tè (che scoprirò essere la Twinings), esaltandone la qualità, le emozioni che suscita e la colonna sonora. Raccontano di una pubblicità efficace, composta da un'animazione molto particolare, sulle note di una cover di Wherever you will go, celebre brano del 2002 dei The Calling.
Dopo accurate ricerche sul web, ho scoperto che l'artista in questione si chiama Charlene Soraia, artista britannica emergente, in uscita con un album, Moonchild, il prossimo 21 novembre. All'interno del disco è ovviamente contenuto il primo singolo Wherever you will go: una cover molto meno rock dell'originale, più dolce ed emozionante, piano e voce, caratterizzata da una pronuncia strana ma particolare. Perfetta, anche nel testo, insomma per accompagnare delle immagini così romantiche.
Lo spot della Twinings mostra, tramite magnifici disegni, una ragazza su una barca, in preda al mare mosso; una situazione che sembra dover finire male ma che si risolve, proprio grazie alla magia del mare, e la ragazza può finalmente raggiungere il suo obiettivo, sè stessa. Lo slogan conclusivo recita: "Twinings. Gets you back to you" (Twinings. Ti riporta a te).
Ho trovato interessante condividere sia lo spot che la canzone di Charlene Soraia, uniti nell'emozione che suscitano negli spettatori/ascoltatori.
"If I could, then I would, I'll go wherever you will go Way up high or down low,
I Negramaro scrivono per Adriano Celentano. E si sente.
Oggi, venerdì 21 ottobre, esce in tutte le radio il nuovo singolo del molleggiato, Non ti accorgevi di me, che anticipa il nuovo album in uscita il 29 novembre e dal titolo ancora misterioso, che arriva a quattro anni di distanza da Dormi amore la situazione non è buona e a tre dal best of L'animale. Nel disco numerose collaborazioni celebri, tra le altre con Franco Battiato e Jovanotti.
Ma veniamo al tanto atteso singolo: sorpassato lo spiazzamento di sentire Celentano su una base così rock e ritmata, Non ti accorgevi di me è un mix di passaggi musicali già sentiti. Nulla da dire sull'ottimo stile Negramaro che caratterizza (forse troppo?) il pezzo e sui cori di Giuliano Sangiorgi; in generale siamo di fronte a un brano comunque innovativo per il panorama musicale italiano e la fusione tra la base rock e le melodie della voce di Celentano risulta un esperimento interessante e coraggioso. Entrando nel particolare però si rilevano alcuni tratti molto simili ad altre canzoni: non parliamo certo di plagio ma alcune cadenze della strofa sanno tanto di Vacanze romane dei Matia Bazar. Provate poi a sostituire il "non ti curavi di me" con un bel "vedi tutto attraverso" di Singh-iozzo e noterete anche voi una qualche vaga somiglianza, anche nel ritmo generale della canzone, sostenuto dalla batteria, e nelle schitarrate in puro stile Negramaro.
Comunque un brano tutto da scoprire e da gustarsi, attendendo la collaborazione di Giuliano Sangiorgi con un'altra big della musica italiana come Mina.
Non è poi stato certo facile tornare qui da te. Avrei voluto scappare lontano ma molto lontano e non chiederti se.
L’ultima volta che hai rubato il giorno al mondo era per me. O forse non ero al corrente che il tempo a quel tempo correva anche per lui.
Non ti accorgevi di me se poi mi lasciavo cadere ma mi accorgevo di te che mai mi venivi a salvare.
Non so nemmeno perché adesso sono qui davanti a te, sarebbe meglio sparire ancor più lontano lasciando ogni cosa com’è. Tanto sapere di un altro non cambia, i miei giorni vissuti ad un passo da te senza capire perché solo te, mi conservo dei tagli ancora per me.
Non ti accorgevi di me se poi ti venivo a cercare ma mi accorgevo di te che mai eri pronta ad amare non ti curavi di me perché già sapevi che io se mi curavo di te a far rimanere ancora tu
Ecco son pronto a sapere parlare proprio adesso che voglio soltanto morir su quelle tue labbra c’è ancora posto per me e come d’incanto, dimentico tutto anche un bacio per tre.
Ora ti accorgi di me sulla bocca e negli occhi e io mi accorgo di te nelle tue mani insistenti.
Avrò paura di te ora che io so sentirti avrà paura di me perché ho imparato ad odiarti.
Si avete letto bene, questo non è
il solito video con i migliori gol della settimana, bensì quello che raccoglie
tutte le azioni e le reti più belle della stagione 2010/11!
Ovviamente non starò qui a
raccontarvele tutte, sono 75, da vivere tutte d’un fiato, una dopo l’altra con
le telecronache originali accompagnate dalla musica di sottofondo. Il video
dura 12 minuti ma ne vale la pena, in quanto vi troverete dentro tutti le reti
più belle e spettacolari della passata stagione, dalla rovesciata di Rooney nel
derby di Manchester, alla volè di Gareth Bale, il gol da centrocampo di Stankovic,
le serpentine di Messi, il gol incredibile di Inzaghi al Barcellona ecc ecc...
Il tanto atteso Casa69 Tour dei Negramaro, rimandato dalla primavera all’autunno a causa di un intervento alle corde vocali di Giuliano Sangiorgi, è trionfalmente partito l’1 ottobre 2011 da Pesaro, passando poi per le quattro date di Roma, le tre di Milano, ed è sbarcato negli ultimi giorni a Torino per due date (18 e 19 ottobre). Un vero e proprio spettacolo condito da musica, parole, immagini, giochi di luce, filmati e tanto altro, è ciò che i Negramaro hanno preparato per il loro pubblico, studiando ogni particolare e non lasciando nulla al caso. D’altronde non è casuale se la band di maggiore successo degli ultimi anni in Italia, nonché l’unica ad aver riempito San Siro, ha raggiunto questo livello: il lavoro, il talento, la competenza e l’impegno che mettono in campo i Negramaro stanno dando i meritati frutti, affiancando la band salentina ai big della musica italiana come Vasco, Ligabue e la Pausini. Ma andiamo con ordine: la scenografia è inizialmente coperta da un telone con l’immagine che si trova sul retro dell’ultimo disco, che cade all’arrivo sul palco di un astronauta e lascia spazio al cuore della copertina di Casa69. Caduto anche quest’ultimo, si inizia a suonare e ci viene mostrata la scenografia fatta di pannelli mobili al led che possono viaggiare liberamente per il palco (e non solo). L’impatto è forte, con i componenti del gruppo coperti da quattro pannelli luminosi che poi si alzano e finalmente ci mostrano i Negramaro. Il concerto entra nel vivo con la giusta alternanza tra brani vecchi e nuovi e qualche sorpresa. Su Londra brucia per esempio, Giuliano lascia la reprise finale a Fabio Troiano, celebre attore torinese, visto in Santa Maradona, Dopo mezzanotte e Cado dalle nubi, che recita il testo e poi conquista il palco con un monologo rabbioso. Quest’interessante sorpresa fa parte del progetto Teatro69 dei Negramaro che punta a coinvolgere nel tour attori di varia caratura come è stato a Pesaro con Neri Marcorè o a Milano con Paolo Rossi. Un vero e proprio effetto speciale è il pannello che scende letteralmente in testa al pubblico delle prime file (al limite della pericolosità) divenendo una pedana e accogliendo il frontman della band che vola per il palazzetto sulle note di Apollo 11. Le sorprese continuano con l’omaggio a Amy Winehouse di Giuliano Sangiorgi, che esegue Love is a losing game al pianoforte. Le entrate e le uscite di scena sono tante, così come i cambi di strumenti e gli intermezzi strumentali: tutto rema verso uno show dinamico che alterna l’energia rock con le emozioni e le lacrime. Non mancano momenti di puro populismo, sicuramente sinceri ma forse risparmiabili, come il ricordo degli operai della Thyssenkrupp o la condanna alla televisione italiana e a Berlusconi. Tutto condivisibile ma forse un po’ forzato, così come la partecipazione del gruppo, poco credibile sera dopo sera. I Negramaro suonano ben coscienti della loro identità, della fama che hanno raggiunto e del credito accumulato negli anni, e sembrano aver perso un po’ di quella puzza sotto il naso che li rendeva abbastanza antipatici al di fuori della musica. La band salentina si esibisce in ben due ore e mezza di spettacolo senza mostrare segni di cedimento e mantenendo alte l’adrenalina e le emozioni. Uno show apprezzato dai fan più stretti ma anche dai meno dediti, sicuramente difficile da dimenticare.
La scelta delle canzoni in scaletta è sicuramente positiva anche se tralascia alcune canzoni di Casa69 (Dopo di me, Luna, Senza te, Polvere, Il gabbiano) a favore di altre, meno forti (Apollo 11, Casa69). Strana l’assenza di Estate, troppo stagionale forse, e di E ruberò la luna e Cade la pioggia, hit de La finestra. Ecco la scaletta completa:
1 Singh-iozzo 2 Se un giorno mai 3 Mentre tutto scorre 4 Quel matto son io 5 Meraviglioso
6 Manchi
7 Londra brucia (con Fabio Troiano) 8 Via le mani dagli occhi
Ben ritrovati alla seconda parte
dello speciale sui The Alan Parsons Project. Prosegue la nostra panoramica
della discografia del noto duo prog rock. Dopo aver parlato dei primi due
grandi lavori, risalenti alla seconda metà degli anni ’70, veniamo ai dischi
della consacrazione.
Pyramid (1978)
Con questo lavoro, il Project
inizia a delineare quello che diverrà lo stile dei loro album anni ’80. Il
cambiamento “definitivo” (anche se meno marcato in realtà di quanto possa
apparire) è tuttavia lontano. Come i dischi precedenti, anche Pyramid viene registrato a Abbey Road ed
è tematicamente incentrato, appunto, sulla figura della grande piramide di
Giza. In quel periodo infatti, s’era prodotto nel Regno Unito e negli Stati
Uniti un certo interesse attorno all’Antico Egitto, più che altro come
conseguenza dell’entusiasmo generale nei riguardi del cosiddetto “pyramid
power” (teoria che afferma che la forma piramidale abbia poteri soprannaturali
che influenzano cose e persone nei più svariati modi). Il tema dellAntico
Egitto emerge nelle canzoni del disco anche se in modo meno marcato rispetto al
passato. La durata dei brani si accorcia sensibilmente e anche il numero di
variazioni all’interno degli stessi diminuisce. Nonostante questo, la varietà
stilistica rimane inalterata dal momento che le tracce sono tra loro molto
differenti. Dovendo citarne alcune sceglierei certamente la beatlesiana What
goes up…, Cant’take it with you o la bella The shadow of a lonely man.
A parer mio però i brani più interessanti sono senza dubbio gli strumentali:
quando penso a Pyramid, penso a Voyager,
Hyper-Gamma-Spaces
e a Inthe lap of the gods (la mia preferita).
Eve (1979)
Nel 1979 esce il quarto
full-length del duo inglese. Trovo nteressante la cadenza annuale con cui
vengono pubblicati gli album: denota un’ispirazione artistica impressionante se
contiamo la qualità e la diversità stilistica dei lavori. Quando, nel corso
della prima parte dello Speciale, dissi che i The Alan Parsons Project erano in
grado di utilizzare la formula concept nei modi più differenti, mi riferii a
questo disco. Eve non si rifà a
libri, racconti o temi esotici/esoterici ma alla vita quotidiana. I testi sono
infatti basati sulla figura della donna e su come gli uomini si rapportano con
essa. Musicalmente il disco è davvero valido, forse, in alcuni punti, più di Pyramid. Nuovamente di breve durata, mi
pare di cogliervi un ritorno all’impostazione dei primi due album (benchè
naturalmente le atmosfere siano completamente differenti). Tuttavia, lo stesso Pyramid echeggia in qualche modo non
meglio definibile durante l’ascolto. Per la prima (e unica volta) sono presenti
voci femminili su due brani: quelle di Clare Torry (la voce di The
great gig in the sky dei Pink Floyd) e di Leslie Duncan (cantante
britannica piuttosto nota nei ’70 e, purtroppo, deceduta di recente). Tra i
pezzi migliori potrei citare le splendide I’d rather be a man, Winding
me up e Damned if i do.
The Turn Of A Friendly Card (1980)
Eccoci quindi giunti a quello
che, personalmente, ritengo il capolavoro assoluto del duo Parsons/Woolfson. Il
disco in questione è anche l’ultimo che mi sentirei di definire completamente
“prog”: vedremo poi perché. Dietro alla magnifica cover (il riferimento alla
cattedrale è poi ripreso nell’ultima, lunghissima, canzone) si celano delle
vere perle musicali di inestimabile valore. Il tema, questa volta è il gioco
d’azzardo, di come può trasformarsi in una dipendenza e di come può portare
persone ragionevoli a perdere tutto. Musicalmente, il disco è progressive, rock
e, se mi capite, Alan Parsons Project all’ennesima potenza. Tutto quanto fatto
finora giunge a sublime coronamento in un disco che non ha punti morti o cali
di tono pressochè mai. Con The Turn Of A
Friendly Card, fa il suo debutto al microfono Eric Woolfson: il suo stile
vocale è forse inizialmente da affinare, ma diverrà presto un trademark della
seconda fase del Project. Difficile, soprattutto per il sottoscritto, isolare
dei brani. Dovendo, mi
sentirei di indicare May be a price to pay, Games
people play e The gold bug. I lettori mi
perdoneranno se dedico qualche riga al brano che per me meglio rappresenta i The
Alan Parsons Project: la lunga suite che porta il nome dell’album. Inizialmente
un pezzo unico (della durata di circa 16 minuti), è stato, nelle successive
edizioni del disco, suddiviso nei suoi cinque “movimenti”. Inutile dire che
esso raggiunge l’apice quando ascoltato d’un fiato. Il tema pianistico e
malinconico dell’introduzione viene ripreso nel finale mentre, nel mezzo, si
sviluppano tre “sotto-brani”: Snake eyes (pezzo rock che a parer
mio riproduce benissimo l’atmosfera di una bisca), The ace of swords
(strumentale introdotta da un meraviglioso clavicembalo) e Nothing left to lose
(pezzo melodico cantato da uno strepitoso Woolfson cui segue quello che può,
idealmente, rappresentare l’assolo dell’intera canzone). L’unione di tutto
questo è LA canzone: The Turn Of A Friendly Card. Se
amate la Musica, questo è un disco da avere assolutamente.
Gli altri album
Come avevo affermato in
precedenza, fatico a definire “prog” i dischi successivi. In realtà lo stile
del duo, data la sua unicità, è sempre ben riconoscibile: tutte le canzoni del
Project, suonano come canzoni del Project, se capite cosa intendo dire. Il
fatto è che i brani tendono a essere molto orecchiabili e tendenzialmente meno
complessi e sperimentali rispetto al passato (oltre che di qualità inferiore).
Mi sentirei di definirlo un rock con venature prog più che un prog rock vero e
proprio. Naturalmente, a me per primo, queste etichette dicono poco: sta
all’ascoltatore trovare una propria personale definizione. Mi esprimo in questo
modo per poter comunicare, in modo semplicistico le mie impressioni. Non si
cada però nel banale errore di sottovalutare tali album solo perché un po’ più
“facili”. Pur non trattandoli approfonditamente, mi permetterò di citarli e di
consigliare qualche brano ai gentili lettori.
Eye in the sky –
il disco più celebre del Project. Da ascoltare: Sirius, Eye in the sky, Old
and wise.
Ammonia Avenue –
concept sull’inquinamento. Da ascoltare: Let me go home, Ammonia Avenue.
Vulture Culture – concept
sul consumismo. Da ascoltare: Let’s talk about me, Separate
Lives, Hawkeye, Vulture Culture.
Stereotomy– concept
sulla celebrità e sui suoi effetti sulle persone. Da ascoltare: Beaujolais,
Stereotomy.
Gaudi– concept incentrato
sulla figura dell’omonimo architetto catalano. Da ascoltare: La
Sagrada Familia.
Freudiana– Mi si
permetta di citarlo e di spendervi due parole, nonostante non faccia parte
della discografia ufficiale del Project. Trattasi di un album dalla varietà
stilistica spaventosa. Mi sentirei di dare ragione a Woolfson: l’impostazione è
senza dubbio quella di un musical. In svariati brani si può ancora sentire lo
stile dei The Alan Parsons Project in tutto il suo passato splendore. Altri brani
sono smaccatamente ispirati alle sonorità dei Beatles anche se, in generale, il
lavoro è ricco di influenze (sia interne che esterne agli APP). Sicuramente interessante. Da
ascoltare: The Nirvana principle, Freudiana, I am a mirror,
Beyond the pleasure principle, There but for the grace of God.
Mentre setacciavo un'edicola alla
ricerca di qualche buon fumetto da leggere, mi sono imbattuto nel numero uno di
Nuvole Nere, sottotitolato Omissis 25. Il formato dell'albo e il
disegno di copertina mi hanno subito fatto pensare a una testata Bonelli, e
invece si tratta di un prodotto della Star Comics, casa editrice solitamente
associata ai manga (uno su tutti: One Piece). La dicitura "I
racconti di Carlo Lucarelli" mi ha incuriosito a sufficienza, e l'ho
comprato.
Nella seconda di copertina, Carlo
Lucarelli e Mauro Smocovich spiegano la genesi di Nuvole Nere. Si tratta
di una serie di racconti del primo, famoso scrittore e conduttore parmigiano,
trasposti in miniserie a fumetti dal secondo, autore di romanzi, articoli per
riviste letterarie e testi teatrali, insieme a un gruppo di disegnatori.
Lucarelli e Smocovich avevano già lavorato assieme per la serie a fumetti Cornelio
– Delitti d'autore, il cui protagonista Cornelio Bizzarri aveva le
sembianze dello stesso Lucarelli e veniva coinvolto in una vicenda di mistero
dalle tinte horror; Lucarelli ha inoltre composto la prefazione del romanzo Non
è per niente divertente di Smocovich, scrivendo di lui: "Mauro
Smocovich è un narratore, e i narratori non hanno paura di usare qualunque
espediente, qualunque mezzo, qualunque sfumatura per raccontare le proprie
storie". Ogni numero di Nuvole Nere contiene tre storie di
Lucarelli: nel volume uno ci sono Omissis 25, pubblicata dalla rivista
"Plot" nel '91, Telefono sostitutivo, compresa nell'antologia Il
galateo del telefonino del 1999, e Dark lady, comparsa sulle pagine
della raccolta Sex files datata 1997.
In Omissis 25, il
carabiniere capitano Romeo, convalescente dopo un'intervento al menisco, inizia
quasi per caso a indagare sulle morti violente di due brigadieri. Siamo negli
anni Ottanta e il clima dei cosiddetti "anni di piombo" non si è
ancora dissipato, anche per via dei segreti inconfessabili che alcuni alti
gerarchi militari cercano di tenere tali a ogni costo. Nella storia successiva,
il tranquillo professore liceale Mario guasta accidentalmente il proprio
telefonino e ne riceve uno sostitutivo da un negoziante, ma presto viene
turbato dalle insistenti telefonate di una donna e un tizio losco che lo credono
un certo Angelo. Mario diventa preda di una feroce caccia all'uomo, e si
troverà a dover sfoderare la grinta che non credeva di avere per riuscire a
sopravvivere... e non solo. L'ultima storia è ambientata nell'Africa del 1892:
una bellissima prostituta nera porta scompiglio in una colonia italiana, e il
tenente Vittorio Filippini ne subisce il fascino al punto di instaurare una
sanguinosa competizione con il commilitone Canedda.
I disegni di questo primo volume
sono opera di Francesco Bonanno, trentottenne palermitano già disegnatore di Cornelio
– Delitti d'autore. Lo stile di Bonanno sembra essere congeniale alla
narrativa di Lucarelli e Smocovich, che non a caso lo hanno voluto di nuovo al
loro fianco: attento equilibrio di bianco e nero, volti espressivi al punto
giusto, linee spesso asciutte ed essenziali. La copertina dell'albo è firmata
Andrea Fattori, inchiostratore e disegnatore da qualche anno entrato a far
parte della scuderia Bonelli (la mia prima impressione aveva quindi un
fondamento di verità!).
Il primo Nuvole Nere è
uscito il 12 ottobre, al prezzo di 2.70 euro, ed essendo bimestrale il prossimo
numero dovrebbe uscire a metà dicembre. La prima storia, che dà anche il titolo
al singolo albo, si intitolerà Nero a più voci e racconterà dei misteriosi
assassinii a colpi di rasoio di coppiette appartate sui colli bolognesi; nella
seconda e nella terza storia, un ricercatissimo criminale di guerra si
costituirà per motivi misteriosi e all'ottavo piano di un palazzo di periferia
si indagherà su un orrendo omicidio.
Distrutto da buona parte della critica e dal pubblico, I tre moschettieri targato Paul W.S. Anderson (Alien vs Predator, Resident Evil) riscrive la storia di Alexandre Dumas con un cinema palesemente (eccessivamente?) citazionistico. Appare più che ovvio sin dal trailer che lo spettatore cinematografico non può e non deve aspettarsi una trasposizione fedele del romanzo o un film d’autore o d’essai: I tre moschettieri non ha questo tipo di pretese e mischia al suo interno le intuizioni più interessanti del cinema d’avventura e fantascientifico degli ultimi anni. Inutile dunque criticare ferocemente un film che vuole essere solo due ore circa di puro intrattenimento e piacere estetico. La trama è sempre la solita seppur con qualche cambiamento: un giovanissimo D’Artagnan/Logan Lerman (Percy Jackson, Gamer), dal viso quasi femmineo, desidera diventare moschettiere a tutti i costi e dopo esser giunto a Parigi e aver “casualmente” incontrato i tre più famosi moschettieri Athos/Matthew Macfadyen (Robin Hood, Frost/Nixon), Portos/Ray Stevenson (Thor, Codice Genesi) e Aramis/Luke Evans (Robin Hood, Scontro tra titani), dimostra il suo valore e viene accettato dal trio. Un Re Luigi XIII che fa saltare sulla poltrona per la sua ambiguità e la sua stupidità convoca i quattro protagonisti e si complimenta con loro, con somma rabbia per il perfido Cardinale Richelieu/Christopher Waltz (ormai il cattivo per eccellenza in Bastardi senza gloria e The Green Hornet). Dalla seconda parte del film inizia la missione dei tre moschettieri e D’Artagnan per rovinare i piani a Richelieu, aiutato dalla spia Milady de Winter/Milla Jovovich (Giovanna D’Arco, Resident Evil), e vendicarsi del Duca di Buckingham/Orlando Bloom (Il Signore degli anelli, Pirati dei Caraibi). E come non aspettarsi un bel finale super aperto in pieno stile Troy. La bassa caratura del film fa passare in secondo piano il cast, che è invece stellare: la personalità dei vari attori tiene in piedi il film e ci dona un’importante caratterizzazione di ciascun personaggio. Il film si muove tra azione, ironia e una buona dose di steampunk. Per chi non sapesse cosa significa quest’ultimo termine, lo steampunk è un genere che introduce in un certo periodo storico una tecnologia anacronistica: per capirci, si può citare a esempio il Wild Wild West di Will Smith, in cui giganti ragni meccanici passeggiano per il deserto, o il recente Sherlock Holmes di Guy Ritchie, così come tanti altri. In questo film ci troviamo davanti ad armi troppo moderne e a navi in grado di volare tramite un pallone aerostatico, bersaglio perfetto per far precipitare a terra le navi. Ma ovviamente solo i nostri quattro eroi avranno questa intuizione geniale... Una scelta che si integra benissimo con lo stile citazionista di Anderson perché lo steampunk gli ha permesso di riproporre (o copiare) scene e idee di numerose altre pellicole e videogiochi: da Assassin’s Creed a Matrix, da Pirati dei Caraibi a Sherlock Holmes, fino a tantissimi altri dettagli presi da altrettante opere. Le citazioni e le assurdità de I tre moschettieri sono troppo palesi per non essere coscienti e non fanno altro che aumentare la spettacolarità delle immagini, innegabile come punto forte del film. Il tutto condito da un 3D per niente fastidioso, forse perchè semi-assente.
I tre moschettieri risponde perfettamente ai suoi intenti, intrattiene e diverte, consegnandoci anche momenti di “ma come fa??” o “ma dai!” fino al finale “ma che c***ata!” che però fanno parte del gioco. Se non fosse per quei 10/11 € del biglietto…
A seguire il trailer del film in cui, guarda caso, c'è una musica molto simile al celebre tema dei Pirati dei Caraibi:
Dieci posizioni nel ranking FIFA (dal sedicesimo al decimo posto), primato nel girone per le qualificazioni a Euro 2012 e miglior difesa tra tutte le squadre europee.
Questi sono alcuni dati che di per se dovrebbero già dare la dimensione di ciò, che in questo anno e mezzo, è riuscito a fare Cesare Prandelli. Ricordo a tutti le condizioni in cui il tecnico bresciano trovò questa nazionale: reduci da un mondiale penoso, senza nemmeno esser riusciti a passare il girone eliminatorio (non succedeva da 40 anni), con un gruppo sfaldato, senza idee e privo di prospettive.
I meriti maggiori sono stati quelli di esser riuscito a trasmettere in brevissimo tempo lo spirito di squadra che ha sempre contraddistinto i suoi team, in particolare l’ultimo, la Fiorentina, senza dimenticare il Parma. Il reparto su cui si è lavorato maggiormente è senza dubbio il centrocampo, in quanto è da lì che è partita la rivoluzione prandelliana. Gli ultimi due tecnici, Donadoni e il Lippi bis, hanno entrambi puntato su moduli che prevedevano attaccanti esterni o ali offensive (4-3-3 e 4-2-3-1), il merito di Prandelli è stato quello di accorgersi come l’Italia sia , in questo momento, totalmente priva di giocatori d’attacco utili a sfruttare a dovere tali moduli. Cerci, Pepe, Giaccherini e Giovinco (che però allontanato dalla porta perde gran parte della sua forza) sono gli unici giocatori adatti, e rappresentano ben poca cosa, sia in quanto a spessore tecnico, sia per quanto riguarda l’esperienza internazionale e l’abitudine a giocare a grandi livelli.
Di contro, l’offerta in quanto a centrocampisti che avessero determinate caratteristiche, sia tecniche, sia caratteriali e anche d’esperienza non mancava. Anzi in questi ultimi anni ci sono giocatori come Marchisio, Montolivo ed Aquilani che hanno finalmente fatto il definitivo salto di qualità e, affiancati da gente come Pirlo e De Rossi, hanno potuto esprimere tutto il loro valore. L’idea di gioco prandelliana è quella di una squadra che gestisca partita e possesso palla, giocando con un 4-3-1-2 senza un vero e proprio trequartista ma con tutti centrocampisti abili nel palleggio e capaci ad inserirsi per diventare pericolosi in zona gol. Con questo modo di giocare si è fermata la Germania in casa loro e soprattutto si è battuta la Spagna campione di tutto in una partita (io c’ero!) in cui l’Italia ha dimostrato di potersela giocare alla pari con chiunque.
Come dicevo in precedenza, gli azzurri con due soli gol subiti, hanno la miglior difesa in assoluto tra tutte le squadre che hanno partecipato alle qualificazioni per l’europeo. La fragilità del reparto arretrato era stato uno dei grossi problemi al mondiale, mentre Prandelli nonostante abbia cambiato pochissimi effettivi, è riuscito a ridare la giusta stabilità. Tutto ciò è stato possibile anche grazie alla rivoluzione nel modulo e nei giocatori: paradossalmente un centrocampo senza mediani puri è riuscito a dare compattezza a tutta la squadra, rendendo la difesa molto meno esposta, garantendo un maggiore possesso palla e facendo di fatto calare le occasioni concesse agli avversari. La squadra è riuscita sempre a rimanere corta, le transizioni difensive sono state rapide in quanto l’apporto dei centrocampisti è stato immediato, essendo tutti quanti molto duttili e dinamici. Oltre a quelli già citati, Prandelli ha dato fiducia a Nocerino e Mauri, entrambi preziosi e perfettamente adattabili a questo tipo di gioco, oltre che a Thiago Motta del quale, a mio avviso, si potrà tranquillamente fare a meno, in quanto troppo lento e compassato.
L’attacco ha anch’esso subito diverse variazioni, più che nei giocatori, nel tipo e nella concezione del ruolo. Le prime punte alla Luca Toni sono state semi bandite, sostituite da giocatori completi, spesso veloci, abili nell’uno contro uno, giocatori moderni. Il tandem preferito dal tecnico di Orzinuovi è Cassano – Rossi: entrambi sotto il metro e settantacinque, non sono di certo una coppia di corazzieri eppure si integrano molto bene, e hanno la giusta esperienza anche internazionale. Ad essi va affiancato Pazzini, forse l’unica vera prima punta che Prandelli ha sempre chiamato, in quanto attaccante moderno, capace di svariare su tutto il fronte d’attacco; Giovinco che ha iniziato alla grande il campionato e Balotelli che rimane pur sempre un incognita e molto dipenderà da quello che sarà in grado di dimostrare, con la maglia del City, nel corso della stagione. C’è con tutta probabilità ancora un posto vacante e sarà ovviamente la stagione a determinare chi ne sarà il possessore, con i vari Matri, Quagliarella, Borriello senza dimenticare, come detto da Prandelli in una recente intervista, anche Totti, Di Natale e Del Piero.
Questa nuova Italia può finalmente guarda agli europei che si svolgeranno in estate con rinnovato ottimismo, conscia che nazioni come Olanda, Spagna e Germania rimangono pur sempre favorite, ma noi abbiamo ritrovato un gruppo unito, compatto e capace di giocarsela con chiunque, e il merito è principalmente di Prandelli.
Abbiamo recentemente parlato
dell’ultimo lavoro dei Dream Theater. Restiamo in tema e parliamo di
progressive. Un movimento che raggiunge il suo apice negli anni ’70 ma che, a
differenza di svariati altri movimenti musicali, può contare svariati ottimi
esponenti anche ai giorni nostri. Le sonorità “progressive”, si sviluppano in
brani articolati, complicati, tecnicamente ineccepibili, con molte variazioni
e, cosa che molti faticano ancora oggi a ingoiare, sovente in tempi dispari. In
moltissimi casi, da parte degli artisti, vi è un completo rigetto della forma
canzone: la formula “strofa+ritornello+solo” diviene per molti quasi un eresia.
Gli artisti se ne allontanano nella direzione opposta e scrivono canzoni, spesso,
di lunghissima durata e, altrettanto spesso, completamente estranee al concetto
di easy-listening. Il progressive ha dimostrato negli anni di sapersi adattare
ai tempi e ai cambiamenti di sonorità, riuscendo a non passare mai di moda.
Potremmo iniziare ascoltando il rock progressivo dei Pink Floyd dei ’70,
passare poi a quello dei Marillion negli ’80 e continuare con le band
progressive rock e metal dei ’90 (Arena, Dream Theater, Pagan’s Mind, Pain Of
Salvation, Opeth e moltissime altre) che, imparata la lezione dei maestri, la
proiettano nel nuovo millennio. Anche l’Italia può vantare meravigliosi esempi
di musica progressiva: un nome su tutti, la PFM. Insomma, tra ieri e oggi, di
progressive ce n’è davvero per tutti i palati. Anche per soddisfare i gusti di
chi, proprio, non sa rinunciare a nulla. Vorrei parlare di due progetti che
corrispondono a quanto appena detto (uno del passato, l’altro più recente) in
due Speciali consecutivi.
Cominciamo con il più datato dei
due progetti. Gli Alan Parsons Project, sono stati un progetto musicale che, a
mio avviso, incarnava tutta la varietà stilistica dei tempi in cui nacque. Se è
pur vero che la qualità della sua musica, alla lunga, faticò a reggere il
passare degli anni, il Project si distinse sempre dalla massa. Il pionieristico
uso di determinati effetti e di tecniche di produzione, unitamente all’abilità
compositiva ed esecutiva dei musicisti, li rese unici.
Il progetto musicale nasce
dall’incontro tra Alan Parsons, ingegnere del suono alla celeberrima EMI di
Abbey Road (dove collaborò alla registrazione del disco Abbey Road dei Beatles e al celebre The dark side of the moon dei Pink Floyd), e Eric Woolfson, di
professione avvocato, pianista a tempo perso e, poi, manager di Parsons. La
storia del progetto, in realtà, è tutta qui. Almeno fino allo scioglimento.
Forse fu la differenza di background musicale dei due, forse fu il clima di
fermento artistico tipico della Londra di quegli anni. Fatto sta che Parsons e
Woolfson si dedicarono alla composizione di musica nuova, tipicamente
progressiva e sperimentale, ma anche sinfonica e orchestrale. L’orchestra è
supportata da validi session-men di tradizione rock. Dietro al microfono si
avvicendano sempre ottimi cantanti, alcuni dei quali molto noti come John
Miles, tra cui lo stesso Woolfson. Altro fattore assai interessante che
caratterizza gli album del duo britannico è la formula del concept album. Tutti
i loro dischi contengono canzoni legate tra loro, in termini di tematiche.
Sebbene il concept album sia già ai tempi una formula collaudata, i due la
utilizzano assiduamente e in tutte le sue forme, spaziando tra i più svariati
argomenti. Gli Alan Parsons Project sono quindi poliedrici sotto ogni aspetto.
Sono in grado di accontentare quasi ogni ascoltatore di musica rock
progressiva: qualità nella composizione, tematiche interessanti, canzoni che
emanano energia e emozionalità, molte variazioni (che però mai pregiudicano
l’orecchiabilità dei brani), sonorità settantiane e classiche amalgamate alla
perfezione. La tecnica, ottima anche se probabilmente inferiore rispetto a
quella dei campioni del periodo, c’è ed è li per chi voglia curarsene. In
alcuni casi, vi è perfino un ritorno alla forma canzone. Un rock progressivo a
tutto tondo. Negli anni ’80, il Project cambia genere dedicandosi a un rock
decisamente più commerciale (anche se pur sempre di elevata qualità), perdendo
in parte il lato prog ma guadagnandoci in notorietà. Un ritorno alle sonorità
originarie si ha solo nel 1987, con l’album Gaudi,
ispirato alla vita del celebre architetto catalano. Nel 1990, i due scrivono il
pomo della discordia: l’album Freudiana.
Le canzoni del disco furono oggetto di controversia riguardo l’uso che se ne
doveva fare. Parsons propendeva per pubblicarle in forma di album mentre
Woolfson desiderava farne un musical. Questo contrasto portò i due alla
separazione. Alan Parsons proseguì con una buona carriera solista (fatta di
album e di esibizioni live) mentre Woolfson si dedicò attivamente ai musical,
dapprima con il già citato Freudiana, quindi con altri progetti più o meno
ispirati ai suoi trascorsi nel Project, fino alla sua morte, avvenuta nel 2009
(NdA: parecchio in sordina per altro) a causa di un tumore. Vediamo, quindi,
quali sono i dischi più interessanti della fase prog della discografia degli
Alan Parsons Project.
Tales of mistery and imagination (1976)
Il primo lavoro del duo è un
disco che trae ispirazione da alcuni racconti del grande autore horror
americano Edgar Allan Poe. Le atmosfere sono tetre, in alcuni casi addirittura
folli, e ben rispecchiano il tono degli oscuri scritti di Poe. Chi ha letto le
sue opere farà ancora meno fatica a immergersi nella musica che il Project ci
propone. The raven, se non ricordo male il primo brano della storia a
utilizzare il vocoder (filtro digitale
per voce oggi abusato nel pop da classifica), è un meraviglioso esempio dello
stile Alan Parsons Project. Si prosegue con un serie di perle musicali,
perfettamente in linea con i temi del concept quali The tell-tale heart (le
linee vocali sono quelle di un folle, quale è il protagonista del racconto
ominimo), (The system of) Doctor Tarr
and Professor Fether e The cask of Amontillado che, a
parere di chi scrive, si candida a miglior brano dell’album. Una canzone che
incanta con le sue meravigliose melodie sulle quali la splendida voce di John
Miles pianifica il crudele omicidio dell’odiato Fortunato: ne scaturisce
un’atmosfera di freddezza omicida davvero da brividi. Un album grandioso con
passaggi da pelle d’oca.
I Robot (1977)
Il secondo lavoro giunge appena
un anno dopo il predecessore ma, di esso, quasi non reca traccia. Le atmosfere
sono completamente differenti, benchè lo stile sia sempre lo stesso e ben
riconoscibile. Come è intuibile, l’ispirazione per il concept è il romanzo di
Isaac Asimov Io, Robot. Il numero dei
pezzi strumentali è elevato e nuovamente le sonorità ricalcano perfettamente il
tema del concept. Tra i brani più interessanti non si possono non citare I
Robot, Genesis CH.1 V.32 o le belle I wouldn’t want to be like you
e le magnifiche The voice e Some other time. Disco dalle
atmosfere (manco a dirlo) “robotiche”. Interessante e molto godibile anche se,
a parere di chi scrive, inferiore al precedente, apre però la strada ad alcuni
dei migliori lavori del duo.
Il ritorno di Tiziano Ferro è uno dei più attesi dell'anno (così come quello di Laura Pausini), soprattutto dopo l'outing di circa un anno fa. L'attesa è però finita visto che da oggi è in rotazione radiofonica La differenza tra me e te, che anticipa il quinto album di inediti del cantautore di Latina, dal titolo L'amore è una cosa semplice e in uscita verso fine novembre su etichetta Emi Music. Il nuovo album è stato registrato a Los Angeles (in registrazione la versione spagnola) e si vocifera di collaborazioni importanti con Irene Grandi e Nesli.
Ma veniamo al brano: Tiziano Ferro non tradisce il suo passato mantenendo il suo stile inconfondibile e proponendo una ballata che parla d'amore. Ritmo e melodia quindi, così come da tradizione per Ferro, in una canzone di sicuro appeal sul grande pubblico e sulle radio.
Il testo racconta le differenze che possono dividere due persone, i modi diversi di affrontare la vita e le situazioni che ci propone, azzerate però da un sorriso e dall'amore.
Siamo ora in grado di farvi ascoltare La differenza tra me e te, accompagnata da un video del backstage della registrazione del brano, rilasciato oggi sul canale ufficiale VEVO di Tiziano Ferro:
La differenza tra me e te non l' ho capita fino in fondo veramente bene Me e te Uno dei due sa farsi male l'altro meno Però, me e te, beh Quasi una negazione.
Io mi perdo nei dettagli, nei disordini, tu no E temo il tuo passato e il mio passato ma tu no Me e te E' così chiaro Sembra difficile
La mia vita mi fa perdere il sonno sempre Mi fa capire che è evidente la differenza tra me e te Poi mi chiedi come sto E il tuo sorriso spegne i tormenti e le domande A stare bene, a stare male, a torturarmi, a chiedermi perchè
La differenza tra me e te Tu come stai, bene, io come sto, boh.. e.. Me e te Uno sorride di com’è, l’altro piange cosa non è E penso sia un errore
Io ho due o tre certezze, una pinta e qualche amico Tu hai molte domande, alcune pessime, lo dico Me e te Elementare Non volere andare via
La mia vita mi fa perdere il sonno sempre Mi fa capire che è evidente la differenza tra me e te Poi mi chiedi come sto E il tuo sorriso spegne i tormenti e le domande A stare bene, a stare male, a torturarmi, a chiedermi perchè
E se la mia vita ogni tanto azzerasse L'inutilità di queste insicurezze non te lo direi Ma se un bel giorno affacciandomi alla vita tutta la tristezza fosse già finita Io Verrei da te.
Poi mi chiedi come sto E il tuo sorriso spegne i tormenti e le domande A stare bene, a stare male, a torturarmi, a chiedermi perchè
La differenza tra me e te Tu come stai, bene, io come sto, boh.. e.. Me e te Uno sorride di com’è, l’altro piange cosa non è E penso sia bellissimo, penso sia bellissimo
Quando nel 2009 gli sviluppatori
di Rocksteady Studios e i distributori di Eidos Interactive lanciarono sul
mercato Batman: Arkham Asylum, nessuno era davvero pronto per un
videogioco di quel calibro. Un gioco su un supereroe famoso che non fosse il
mediocre tie-in di un blockbuster hollywoodiano, che fosse
graficamente molto bello e dettagliato, dal gameplay variegato e avvincente,
dalla longevità e dal carisma imponenti, non avrebbe potuto che riscuotere un
trionfale successo, e così è stato. Da pressoché tutti i recensori sono
fioccati voti altissimi (Metacritic riporta una valutazione media di 91/100 per
le versioni PC
e Playstation 3
e di 92/100 per quella Xbox360),
il Guinness World Records lo ha eletto “Most Critically Acclaimed Superhero
Game Ever”
e le vendite del gioco sono stimate tra i quattro e i cinque milioni di copie.
Com’era lecito aspettarsi, dopo
poco più di due anni di lavoro i Rocksteady stanno per tentare di bissare il
successo con il loro nuovo Batman: Arkham City. Vista la gran quantità
di informazioni sul gioco che gli sviluppatori hanno divulgato negli ultimi
mesi, vi proponiamo un comodo riassunto di tutto quello che si sa a oggi.
Il gioco
Batman: Arkham City è
sviluppato sempre dai Rocksteady Studios, mentre la distribuzione è passata
alla Warner Bros. Interactive Entertainment per America ed Europa e alla Square
Enix per il Giappone. Il gioco uscirà per Playstation 3 e Xbox360 il 18 ottobre
nel nord America, il 21 ottobre in Europa e il 23 novembre in Giappone, mentre
la versione pc è prevista per novembre (la data esatta è al momento ancora
imprecisata) e quella per la ventura console Wii U dovrà aspettare il 2012. La
trama del gioco, comprensiva di storia, missioni e dialoghi, è opera dello
scrittore e produttore statunitense Paul Dini, già autore di quella di Arkham
Asylum, storico sceneggiatore di molte serie animate supereroistiche
Warner/DC Comics (tra cui Batman: The Animated Series e Superman: The
Animated Series) e di numerosi fumetti dello stesso genere, nonché
co-sceneggiatore di Transformers, Animaniacs e Lost. Batman:
Arkham City, come il suo predecessore, si basa sul motore grafico Unreal
Engine 3 e sulla piattaforma di distribuzione e aggiornamento online Games for
Windows Live.
Il gameplay
E’ sostanzialmente lo stesso di AA:
anche in AC Batman affronterà i cattivi in un connubio di azione e stealth,
ovvero un po’ con le buone vecchie scazzottate e un po’ muovendosi nell’ombra e
sopraffacendo i nemici con mosse o gadget silenziosi. L’uomo-pipistrello potrà
esplorare l’intero nuovo supercarcere Arkham City (una sezione della città di
Gotham adibita al contenimento dei criminali, lo stesso spunto del film 1999:
Fuga da New York), la cui ampiezza è stata valutata cinque volte più grande
dell’ambientazione del gioco precedente. Batman può arrampicarsi sui palazzi
con un comodo rampino, per poi planare giù grazie al suo mantello, magari atterrando
sulla nuca di un ignaro scagnozzo. Le arti marziali di Batman conferivano ai
pestaggi di AA una grazia quasi artistica, e i Rocksteady dicono di
averle migliorate e arricchite ulteriormente. Le varie aree della città
offriranno missioni e sfide peculiari al giocatore: nei complessi di edifici,
come per esempio la zona industriale, si può essere insediato un boss che
dovremo raggiungere e sconfiggere facendoci prima largo tra orde di sgherri ed
enigmi da risolvere, ma anche per le strade e in luoghi più piccoli si possono
celare missioni secondarie ed eventi particolari. La “modalità detective” vista
nel primo episodio torna in veste rinnovata: quando Batman la attiva spariscono
gli indicatori a schermo, come la mappa, per meglio differenziarla dal gioco
normale; l’art director David Hego l’ha descritta come “augmented reality
mode”. In aggiunta allo Story Mode, quello standard, il giocatore potrà
cimentarsi con la modalità Game Plus, sbloccabile finendo il gioco a difficoltà
normale o elevata: sostanzialmente si tratta di una versione ancora più ardua
del gioco, con nemici più forti e boss più difficili da sconfiggere, ma con
tutti i gadget e i bonus a disposizione di Batman fin da subito. Il Challenge
Mode, già presente in AA, proporrà ancora singoli scontri a tempo con
classifiche di punteggi online, ma con l’aggiunta di modificatori particolari
per variare le sfide: aumento della difficoltà, blocco dei gadget, ecc.
Trama e personaggi
Al momento si sa ancora poco
della trama principale di AC. Il malvagio chirurgo Hugo Strange ha fatto
rapire Bruce Wayne, il ricchissimo alter ego di Batman, e lo ha fatto
imprigionare all’interno di Arkham City, probabilmente come ingranaggio di un
disegno criminale più grande; Bruce, che non è certo uno sprovveduto, comincerà
a indagare sulla situazione e scoprirà che il supercarcere è in realtà dominato
dai detenuti che dovrebbe confinare o rieducare. Alla breve lista degli amici e
dei collaboratori di Batman, ovvero il commissario Gordon, il direttore del
manicomio Quincy Sharp, il sidekick Robin/Nightwing (sbloccabile in
futuro con un dlc, acronimo di downloadable content, ovvero
piccola espansione spesso a pagamento), Catwoman (che a quanto pare sostituirà
Batman in alcune sessioni di gioco) e il maggiordomo Alfred si contrappone
quella davvero nutrita di cattivi. Tornano l’immancabile Joker e la sua spalla
Harley Quinn, il cervellotico Enigmista, la seducente Poison Ivy, l’energumeno
Bane e il folle Zsasz, e compaiono gli altrettanto famosi Hugo Strange, Due
Facce, il Pinguino, Mr. Freeze, Talia al Ghul, il Cappellaio Matto, Deadshot,
Jack Ryder alias Creeper, Calendar Man, Solomon Grundy e altri ancora tenuti
segreti.
Dettagli vari
AC supporterà il 3D
stereoscopico e anaglifico su pc e console, a patto naturalmente di possedere
uno schermo HDTV e di indossare gli appositi occhialini. Batman potrà indossare
sei diversi costumi,
o skin, a seconda di dove si acquista la propria copia del gioco, anche
se probabilmente verranno tutti inclusi in una futura edizione omnicomprensiva,
come l’eventuale “Game of the Year Edition” che per esempio AA ha avuto.
La collector’s edition di AC conterrà, ovviamente oltre al gioco,
una statuetta di Batman, il film d’animazione Batman: Gotham Knight, un art
book, una mappa e una skin bonus e un codice con cui scaricare
l’album digitale con la colonna sonora del gioco. Quest’ultima contiene brani
firmati da Serj Tankian dei System of a Down, The Damned Things e altre band
più o meno famose.
I primi voti
Mancano pochi giorni all’uscita
del gioco e alcune riviste specializzate sono già riuscite a sviscerarlo e
recensirlo. I tedeschi di “Play 3” lo hanno premiato con un 97/100, mentre
“Playstation Official Magazine Australia” e “Game Informer” gli hanno conferito
addirittura il punteggio pieno, 100/100. Le aspettative verso Batman: Arkham
City sono altissime, e siamo sicuri che assurgerà a nuova pietra miliare
del suo genere.
Qui
potete vedere la prima ora del gioco, a vostro rischio e pericolo di spoiler!