venerdì 25 novembre 2011

L’amore ai tempi del fascismo ovvero l’anti-femminismo ne Il cuore grande delle ragazze

Campagna italiana anni ’30. Epoca fascista. Carlino Vigetti (Cesare Cremonini) è il genere di uomo che nessun padre vorrebbe come cognato. Semi-analfabeta, l’unica sua passione sono le donne. Le incanta con il suo alito che sa di biancospino, le carica sulla sua bicicletta, le porta tra i cespugli di biancospino dove lui stesso dice di esser stato concepito, e ci fa l’amore. Sisto Osti, avido proprietario terriero, convince Carlino a prendere in sposa una delle due sue figlie, piuttosto bruttine e destinate a rimaner zitelle a vita. In cambio di una moto Guzzi e della concessione delle terre da coltivare come mezzadro per altri dieci anni, Carlino accetta. Per un mese, ogni sera per un’ora esatta, si reca a casa Osti, per conoscere e scegliere quale delle due ragazze prendere in moglie. Ma durante l’ultimo “appuntamento” fa la sua comparsa Francesca (Micaela Ramazzotti), figlia della moglie di Osti, nata da una precedente relazione della donna, arrivata da Roma senza preavviso. E neanche a dirlo, Cupido ci mette lo zampino.
Commedia drammatica? Credo sia meglio dramma comico. Ironia, leggerezza. Tutt’apparenza. Che Carlino Vigetti sia un nuovo Bertrand Morane? Bè, entrambi amano le donne, entrambi convivono con un bisogno fisiologico di sesso che non sanno tenere a freno. Ma è il mondo femminile che fa la differenza. Se nel maestro François Truffaut, come recita il titolo, chi agiva era Lui, L’uomo che amava le donne, in Pupi Avati le protagoniste sono le donne. Anzi, le ragazze. Ragazze che non conoscono altra alternativa al matrimonio, se non consideriamo la strada della prostituzione, e rassegnate all’inevitabilità dell’adulterio coniugale. Truffaut dirige la sua opera negli anni ’70, e parla dell’epoca a lui contemporanea, un’epoca in cui nel cinema non si era ancora nè detto nè visto tutto, facendo del suo film un vero e proprio manifesto del libertinaggio. Con Il cuore grande delle ragazze siamo nel 2011. Ma a ciò che si racconta fa da sfondo l’epoca fascista, ormai passata: il sesso è un tabù, la libertà sessuale non esiste neanche ancora in potenza, concedersi prima del matrimonio per una donna è considerato peccato, si crede in un Dio bigotto.
Dietro una facciata di falso puritanesimo, anche le donne “hanno quelle voglie lì”, come afferma Francesca (Micaela Ramazzotti), e, nel caso siano vergini, sono incuriosite dal sesso, proprio come le due sorelle Osti, che si divertono a fare giochi stupidi con Carletto, chiedendogli chi delle due, secondo lui, ha mai toccato il “pirillino” di un uomo. Eppure, nonostante la tematica sessuale sia sempre lì latente e sia il motore delle azioni di Carlino (“Sarà mica che non mi sposo, io oggi devo assolutamente fare l'amore”), il film mai sconfina nella volgarità. Carlino Vigetti è uno dei tanti, non ha personalità, è lo stereotipo dell’uomo ignorante e rozzo. Bertrand Morane, al contrario, non è un tipo qualunque: conosciamo la sue avventure grazie alla pubblicazione post-mortem del suo diario, che lo consacra a mito. Lui sì che amava le donne.
La voce narratrice di Edo Vigetti è di Alessandro Haber. Musiche di Lucio Dalla.
Un Cesare Cremonini inconsistente e trasparente; una Micaela Ramazzotti convincente, e sempre in ascesa.
Nel complesso, un’opera poco incisiva, e forse un po’ scontata. Pupi Avati avrebbe potuto far di meglio.

Erin

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