Quando si tratta di recensire
un’opera non nuova, almeno secondo il mio modestissimo parere, non è molto
interessante occuparsi di lavori universalmente riconosciuti come “classici”.
Cosa si potrebbe dire che non sia già stato detto? L’intera disquisizione si
rivelerebbe semplicemente una lunga sequela di elogi, noiosi da leggere per voi
e da scrivere per me. Finora infatti ho trattato dischi che, più o meno, si
potrebbero quantomeno definire “discussi”. Tuttavia esistono piccoli capolavori,
noti solo a una relativamente ristretta cerchia di persone, di cui vale davvero
la pena di parlare. Opere talmente estranee al concetto di mainstream da
suscitare qualche dubbio riguardo alla possibilità di poterne trattare su di un
portale non di genere come Vasi Comunicanti. Tuttavia vorrei spingere al limite
la libertà concessami e fare un tentativo in tal senso. L’album di cui
tratteremo è davvero speciale e, per tutti coloro che lo conoscono, è un’opera
d’arte e un fulgido esempio di eclettismo musicale. Sto parlando di La masquerade infernale dei norvegesi Arcturus. La band nasce nel 1987 (il
primo full-lenght giungerà però solo nel 1995) dall’unione di volti che
diverranno più o meno noti nel panorama black metal di lì a qualche anno. Il
fatto che dietro alle pelli sia presente il bravissimo (ma controverso) Jan
Axel Blomberg, in arte Hellhammer (Mayhem, Dimmu Borgir e altri), potrebbe già
far drizzare le orecchie di chi non sia digiuno di certo metal estremo. Alle
tastiere troviamo Steinar Johnsen (che in seguito militerà stabilmente nei
Covenant e, come ospite, negli Ulver e nei Satyricon) mentre al microfono si
avvicenderanno Kristofer “Garm” Rygg e Simens “ICS Vortex” Hestnaes (noto per
la militanza nei Dimmu Borgir e nei Borknagar). Da un tale combo cosa potremmo
mai aspettarci se non del sanissimo black metal? La risposta è spiazzante.
Se il primo album, Aspera hiems
symfonia, è in effetti un disco inquadrabile
nel symphonic black (di notevole qualità, per inciso) e il terzo, The Sham mirrors,
può vantare meravigliose concessioni alla musica elettronica, è col secondo lavoro
che giunge il capolavoro assoluto: nel 1997 compare La masquerade infernale,
uno di quei dischi che si compongono una volta sola nella vita. In una parola:
irripetibile. Vediamo perché. In apertura parlai di “genere” ma la realtà è
che, benchè comunemente rivendicato dall’universo metal, il disco in questione
ha ben poco a che fare con la musica di genere. L’impostazione è senz’altro
rock/metal: chitarra, basso, batteria, voce, tastiera. Niente concessioni a
strumenti insoliti o particolari. Lo stesso dicasi per il guitar-work e per
alcuni passaggi di batteria con doppia cassa a elicottero annessa. Eppure il
tutto suona maledettamente “nuovo”. In molti sono ormai soliti riferirsi agli Arcturus
come a una band che suona avant-garde metal. La prima canzone non lascia scampo
e ci proietta immediatamente nell’universo dei “nuovi” Arcturus; un
universo fatto di maschere carnevalesche dal ghigno sinistro, barocche
scenografie e copioni scritti e recitati da malati di mente: un oscuro teatro
del delirio.
Un massiccio uso del synth fa da intro all’opener Master
of disguise e ci conduce alla scoperta del primo vero aspetto peculiare del
lavoro dei norvegesi. A differenza di quanto fatto in passato, i nostri fanno
uso di una meravigliosa voce pulita, che si prodiga in acrobazie davvero
notevoli (si veda The Chaos path), a scapito del ben più canonico growl.
Proprio questo aspetto contribuisce più di ogni altro all’atmosfera unica che
si respira durante l’ascolto, unitamente al sapiente uso delle tastiere. Più
volte nel corso dell’opera, le chitarre passano in secondo piano permettendo ai
synth di farla da padrone. Ogni melodia è perfettamente innestata nel contesto
del brano, contribuendo a creare un mosaico sonoro di rara bellezza e di
tuttora imbattuta poliedricità, almeno in ambito strettamente metal. Musica sinfonica,
folk e metal si fondono in modo del tutto inedito e il risultato è
semplicemente indescrivibile: risulterà più facile per i lettori semplicemente
ascoltarlo. Si badi però che si tratta di un disco estremamente complesso, che
richiederà senza dubbio numerosi ascolti per essere debitamente apprezzato. D’altro
canto, affermo con sicurezza che si tratta di un lavoro tecnicamente
ineccepibile e dotato di una grande sensibilità. Per tutti gli estimatori
dell’arte fuori dagli schemi una gemma imperdibile, una delirante ode alla
Musica celata sotto la maschera di un sinistro Arlecchino.
Spectraeon_86
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