Dopo il grande successo ottenuto più di due anni fa con Only by the night, i Kings Of Leon (per chi non li conoscesse, sono tre fratelli più un cugino originari del Tennessee, arrivati al loro quinto album) ritornano con l’ultima fatica: Come around sundown. Molto è cambiato da quando questa band faceva da spalla a gruppi come Pearl Jam e U2, lo stesso stile, molto garage rock dei primi due album col tempo si è evoluto in una tecnica unica che li rende distinguibili dalla massa di band pseudo-rock che ci circondano.
Molti vecchi fan hanno storto il naso per OBTN, album che però ha portato una ventata di novità e migliaia di supporter in tutto il mondo. I Kings Of Leon si saranno sicuramente posti la domanda: “Come mette d’accordo tutti, anche noi stessi?” La risposta la troviamo nel nuovo disco: un’altra evoluzione, probabilmente migliore di quelle passate ma che comunque strizza l’occhio ai vecchi ascoltatori. L’album inizia con The end, la fine, dimenticate il passato, qui c’è roba nuova, ripulitevi dai pregiudizi. Fatto? Allora è tempo di Radioactive, la traccia più commerciale, forse una delle “peggiori” ma comunque di buona fattura. Dopo l’introduzione arrivano i pezzi forti: Pyro, Mary, The immortals, The face, Back down south e Beach side, le migliori canzoni , quelle che riescono a donare più emozioni, quelle che ti catturano. Pyro e The face secondo me sono il top di un album non con grandi pezzi alla Sex on fire ma compatto, unito, che ti tiene incollato all’ascolto dal primo all’ultimo secondo. Non ci sono dislivelli tra le tracce, come in Only by the night dove potevamo trovare grandi brani seguiti da altri destinati al dimenticatoio anche se, purtroppo, qualche canzone può risultare un poco blanda, vedi Pony up, la meno riuscita del progetto (sempre secondo me). La seconda parte del lavoro comprende canzoni che tendono ad avere suoni legati al loro passato ma che comunque rimangono in linea con il resto delle tracce. L’ottima Pickup truck chiude il tutto.
I testi sono diventati più adulti, lontano dalle campagne del sud degli Stati Uniti i Kings Of Leon si ritrovano faccia a faccia con una realtà piena di peccato, dove la parola amore viene spesso affiancata al sesso, dove si ha una visione distorta di cosa ci circonda, dove solo pochi amici rimangono al tuo fianco. Il suono non è più grezzo, col tempo la band ha migliorato la sua abilità nel suonare e la pulizia acustica è diventata una qualità fondamentale. La batteria fa da padrone, seguita dal basso. Le chitarre in alcuni tratti scompaiono ma solo per tornare più forti e importanti di prima con spezzoni in cui si impongono prepotentemente.
I Kings Of Leon, che ormai si vedono stretta l’etichetta di “band indie”, si sono trovati davanti ad un enorme problema: riuscire a piacere senza svendersi. Con Come around sundown ci sono riusciti a pieni voti. Continueranno ad evolversi o si regaleranno al mercato commerciale? Questo non lo so ma sicuramente questi quattro ragazzi avranno ancora molto da dirci in futuro.
Molti vecchi fan hanno storto il naso per OBTN, album che però ha portato una ventata di novità e migliaia di supporter in tutto il mondo. I Kings Of Leon si saranno sicuramente posti la domanda: “Come mette d’accordo tutti, anche noi stessi?” La risposta la troviamo nel nuovo disco: un’altra evoluzione, probabilmente migliore di quelle passate ma che comunque strizza l’occhio ai vecchi ascoltatori. L’album inizia con The end, la fine, dimenticate il passato, qui c’è roba nuova, ripulitevi dai pregiudizi. Fatto? Allora è tempo di Radioactive, la traccia più commerciale, forse una delle “peggiori” ma comunque di buona fattura. Dopo l’introduzione arrivano i pezzi forti: Pyro, Mary, The immortals, The face, Back down south e Beach side, le migliori canzoni , quelle che riescono a donare più emozioni, quelle che ti catturano. Pyro e The face secondo me sono il top di un album non con grandi pezzi alla Sex on fire ma compatto, unito, che ti tiene incollato all’ascolto dal primo all’ultimo secondo. Non ci sono dislivelli tra le tracce, come in Only by the night dove potevamo trovare grandi brani seguiti da altri destinati al dimenticatoio anche se, purtroppo, qualche canzone può risultare un poco blanda, vedi Pony up, la meno riuscita del progetto (sempre secondo me). La seconda parte del lavoro comprende canzoni che tendono ad avere suoni legati al loro passato ma che comunque rimangono in linea con il resto delle tracce. L’ottima Pickup truck chiude il tutto.
I testi sono diventati più adulti, lontano dalle campagne del sud degli Stati Uniti i Kings Of Leon si ritrovano faccia a faccia con una realtà piena di peccato, dove la parola amore viene spesso affiancata al sesso, dove si ha una visione distorta di cosa ci circonda, dove solo pochi amici rimangono al tuo fianco. Il suono non è più grezzo, col tempo la band ha migliorato la sua abilità nel suonare e la pulizia acustica è diventata una qualità fondamentale. La batteria fa da padrone, seguita dal basso. Le chitarre in alcuni tratti scompaiono ma solo per tornare più forti e importanti di prima con spezzoni in cui si impongono prepotentemente.
I Kings Of Leon, che ormai si vedono stretta l’etichetta di “band indie”, si sono trovati davanti ad un enorme problema: riuscire a piacere senza svendersi. Con Come around sundown ci sono riusciti a pieni voti. Continueranno ad evolversi o si regaleranno al mercato commerciale? Questo non lo so ma sicuramente questi quattro ragazzi avranno ancora molto da dirci in futuro.
P.S.: Piccola parentesi, ho partecipato al concerto di Bologna tenutosi a novembre. La band è stata impeccabile, peccato per il problema tecnico durante Mary che l’ha trasformata in una versione “acustica”. Probabilmente sono un po’ freddi verso il pubblico ma allo stesso tempo timidi quindi non ne faccio una colpa. Diciamo che loro hanno fatto il loro compitino diligentemente e che probabilmente gli italiani sono abituati a qualche “emozione” in più però da un punto di vista legato allo spettacolo sonoro sono stati, a mio avviso, perfetti. Forse grazie a questo il pubblico è rimasto ammaliato dalla performance, e nonostante un poco di freddezza, tutti hanno ballato e cantato a tempo. Carina anche la scenografia. Alla fine è stata una bella esperienza.
Lares
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