Finora s’è parlato di dischi più o meno datati. Con questo articolo inauguriamo una, spero lunga, serie di recensioni dedicate a opere musicali nuove. Vorrei strutturare questi articoli sfruttando il “track by track”: ascoltando cioè il disco dando impressioni sulle singole tracce in tempo reale. Tali pareri saranno seguiti quindi da un “giudizio a freddo”, maturato invece dopo ripetuti ascolti. Spero in questo modo di dare un giudizio completo, non solo dal punto di vista tecnico, ma anche riguardo la longevità del lavoro.
Il primo disco che tratteremo è A
dramatic turn of events, ultima fatica degli statunitensi Dream Theater,
probabilmente l’unica band progressive metal che possa davvero vantare una fama
e un successo planetari. I nostri, reduci da un travagliato divorzio con il
batterista e membro fondatore Mike Portnoy, erano attesi al varco. Se in molti
attendevano con ansia il nuovo lavoro, anche per poter verificare l’effettivo
apporto artistico del sostituto di Portnoy, il grande Mike Mangini, in molti
altri paiono aver ormai perso le speranze di poter vedere nuovamente i Dream
Theater nello stato di grazia in cui si trovavano a inizio anni ’90. Le recenti
vicissitudini, gestite dal gruppo e da Portnoy alla stregua di una vera
telenovela, non incoraggiano certo i detrattori a cambiare idea. Il
sottoscritto non è uno sfegatato della band, lo confesso. Il mio giudizio
sull’album, quindi, non terrà conto dell’ingombrante passato del quintetto. Mi
baserò solo sulle mie personali impressioni. Procediamo con l’ascolto.
On the backs of angels (08:42 min)
Pezzo prog metal abbastanza classico. Inizio lento con un
piacevolissimo arpeggio di chitarra (rigorosamente in tempi dispari). I primi
interventi di chitarra elettrica hanno sonorità che ricordano qualcosa degli Ayreon
meno effettati. D’un tratto il brano si apre maestosamente e si nota
immediatamente come le tastiere di Jordan Rudess la facciano da padrone. Altra
cosa che si nota subito è il notevole calo di qualità della prestazione vocale
di James Labrie. La voce è eccessivamente squillante e “sottile”, priva di
potenza e di spessore. Fortunatamente può contare su una buona tecnica vocale e
il pezzo ne risente relativamente poco, specialmente nell’ottimo (e cantabile)
ritornello. Buoni e non eccessivamente complicati (per gli standard della band)
gli assoli. Buon pezzo e sicuramente ottima opener.
Build me up, break me down (06:59 min)
Intro atipico, con beat elettronici e chitarra elettrica in sordina,
cui fa seguito un riffing piuttosto aggressivo, che mi riporta alla mente
qualcosa del periodo Train of thought
e che accompagnerà tutto il brano. Anello debole del pezzo, nuovamente, la
prova vocale. Seppur discretamente pregevole sulle strofe, basse e aggressive,
risulta poco incisiva sul refrain e addirittura fastidiosa sulle note più
acute. Il pezzo in sé non è nulla di eccezionale, anche se si possono comunque
isolare alcune ottime parti. Tra queste sicuramente un assolo, che forse mi
sarei aspettato più dai Symphony X che non dai Dream Theater. Brano ascoltabile
ma, purtroppo, anche parecchio anonimo.
Lost not forgotten (10:11 min)
Apertura affidata al pianoforte. Quando gli altri strumenti entrano in
campo, ho la netta impressione di ascoltare qualcosa dei Dimmu Borgir (non
sparate, per carità!) del periodo Death
Cult Armageddon, naturalmente con meno distorsione e meno “orchestra”. A
darmi quest’impressione è forse l’uso del pianoforte in sottofondo. Il tema si
mantiene mentre il drumming si fa più sostenuto. Il pezzo si trasforma ben
presto in una dimostrazione tecnica, al solito più che efficace ma, a parere di
chi scrive, decisamente superflua. Finalmente la voce di Labrie graffia e
convince mantenedosi su tonalità basse (su quelle alte è ormai chiaramente
deficitario). Ritornello piacevole in tempi dispari anche se forse un poco
troppo “spezzato” dai virtuosismi tecnici degli strumentisti.
Pezzo lento. Forse il primo pezzo che riesco a trovare completamente
convincente. Nulla di nuovo sotto il sole, intendiamoci. Però parte bene,
prosegue bene e termina bene. Senza cali, virtuosismi eccessivi o altri fattori
destabilizzanti. La voce mi risulta finalmente convincente lungo tutto il
brano, mantenendosi su registri bassi all’inizio e salendo su quelli alti nel
finale con buoni risultati. Il brano manca forse di quei punti culminanti,
quelli in cui tutti gli strumenti e la voce si fondono in una sequenza di note
che strappa il cuore dal petto per alcuni secondi, però si mantiene su buoni
livelli. Personalmente mi trasmette la sensazione tipica di quelle emozioni che
“aleggiano”, senza concretizzarsi mai del tutto: costanti dall’inizio alla
fine. Buona canzone.
Bridges in the sky (11:01 min)
Introduzione spiazzante che sicuramente strapperà qualche sorriso
all’ascoltatore più smaliziato. Si prosegue con un’atmosfera che ricorda da
vicino la soundtrack de Il Signore degli
Anelli, con tanto di coro di voci bianche, che lascia poi il posto alla
chitarra di Petrucci, nuovamente aggressiva ai limiti del thrash. Nonostante le
premesse (tutto sommato) incoraggianti, il brano non riesce a catturare
completamente la mia attenzione. Credo che somigli troppo ad alcuni brani degli
Angra dell’ultimo periodo (quello, paradossalmente, più “dreamtheateriano”)
senza raggiungerne il grado di coinvolgimento. La linea vocale non mi convince
pienamente, soprattutto nel ritornello (ai limiti del “brutto”). Del buono c’è,
disseminato qui e là, ma il pezzo è troppo lungo per quel che offre. Appena
sufficiente. Da notare, poco dopo la metà della traccia, una parte che ricorda
in modo impressionante alcuni battle
theme della saga Final Fantasy…decisamente
strano!
Outcry (11:24 min)
Inizio decisamente riuscito: chitarre solenni, accompagnate dalle
tastiere, riescono a catturare. Buone progressioni e lead guitars interessanti.
Ottima la linea vocale e buona anche la prestazione di James Labrie che, dopo
un inizio claudicante, sta lentamente ingranando. Assolo complicatissimo: un
vero torrente di note, di cambi di tempo, di stop&go nella migliore
tradizione del “Teatro del Sogno”.
Finalmente riesco a non trovare il tutto fine a sé stesso, anche grazie ai
suoni di tastiera leggermente più sperimentali. Diverse variazioni, tutte di
ottimo livello, mantengono viva l’attenzione fino alla fine. Se ho una critica
da fare, essa è facilmente prevedibile: assolo troppo lungo. Tolto questo
piccolo neo, il pezzo migliore del lotto finora.
Far from heaven (03:56 min)
Secondo lento del disco. Strumentalmente bello e ben cantato. Forse
passa un po’inosservato in mezzo agli altri brani. Il pezzo è nuovamente poco
incisivo a livello emozionale; le sensazioni sono le medesime di cui ho parlato
poch’anzi con This is the life.
Tuttavia l’inteccio pianoforte-archi è particolarmente riuscito e il brano
scorre via piacevolmente. Rilassante.
Breaking all illusions (12:25 min)
Composta dal silenzioso bassista John Myung. Una domanda sorge
spontanea: perché i Dream Theater hanno aspettato la seconda metà dell’album
per tirare fuori la grinta? Il riff portante è davvero coinvolgente, in tutte
le forme in cui si presenta nel corso del brano. Il pezzo si stabilizza per
permettere a Labrie di fare il suo ingresso con una buona linea vocale e una
altrettanto buona performance. Alcuni splendidi intermezzi mi ricordano ora una
versione velocizzata degli Ayreon di The
Human Equation, ora i territori prog-power dei già citati Angra. Canzone
dalle molte variazioni e dall’elevata qualità, può senz’altro candidarsi a
miglior brano dell’album.
Beneath the surface (05:26 min)
Ultima traccia e terzo lento. Brano nuovamente abbastanza costante. Le
considerazioni sono circa le medesime fatte per le precedenti ballad.
Interessante l’uso di tastiere dal suono insolito per gli standard di brani del
genere, ma al termine della canzone, ben poco rimane. Verso la fine, Labrie
passa all’ottava superiore in un tentativo, presumo di dare carica a un brano
le cui sorti però sono già segnate. Brano piuttosto mediocre. Non lascia
traccia.
Giudizio a freddo
La prova dei ripetuti ascolti conferma pregi e difetti di un album
che, a parer mio, difficilmente entrerà nella storia della band. Ennesima buona
prova dei Dream Theater, non raggiunge l’eccellenza se non in alcuni passaggi.
Labrie dovrebbe concentrarsi su tonalità più basse, che gli permettano di
sfoderare una maggiore emozionalità. I registri troppo alti, infatti, seppur
soprendenti per l’ascoltatore, tendono a dare un taglio “freddo” ai brani, cosa
che nei Dream Theater, purtroppo, è già fin troppo presente. Un disco che farà
discutere: di conseguenza, l’ascolto è consigliato. Una domanda però mi assilla
dopo ogni ascolto: serve davvero un tale minutaggio?
Spectraeon_86
9 commenti:
Manda una mail a james e di sicuro apprezzera i tuoi illuminanti consigli!
l'unica cosa che ho capito da questa recensione è che a te i Dream Theater non piacciono, ma hai voluto dare necessariamente un giudizio positivo. forse è meglio che li lasci perdere.
Commento chilometrico xD
Bene, mi sento in dovere di rispondere e difendere i Dream Theater visto l'amore che mi porto dietro per loro da quasi dieci anni.
Secondo me si tratta sempre del solito discorso: io non ho mai trovato freddo lo stile dei Dream Theater, nonostante la ricerca continua della tecnica. Sicuramente non so dare un nome a tutti i vari passaggi tecnici delle loro canzoni, visto che sono solo un'ascoltatrice, ma la loro musica, la voce di James e i loro testi mi hanno sempre fatto
emozionare come pochissimi altri cantanti e musicisti hanno saputo fare. Più che di
prestare attenzione alla tecnica (quella la si acolta sempre a un livello successivo, più
razionale), si tratta di lasciarsi trascinare dalla corrente: è così che io vedo i Dream
Theater; più come un flusso di coscienza che non come una canzone a se stante con un
inizio e una fine.
Detto questo, il modo di cantare di LaBrie: non ti so giudicare l'abbassamento di qualità,
non ho conoscenze tecniche canore, ma io continuo ad apprezzarlo, sono dieci anni che
canta così, da Six Degrees of Inner Turbulence (che questo cd sinceramente mi ricorda
da molto, molto vicino); è un tono che piace oppure no.
A livello musicale ho decisamente apprezzato Petrucci e Myung che non mi deludono mai,
e anche Mangini alla batteria, anche se forse darà un suo contributo più personale nei
prossimi cd. L'unica cosa che continuo a trovare poco digeribile nonostante la bravura è
Rudess che sinceramente mi disorienta con i suoi interventi.
L'ho sinceramente trovato un bel cd, l'unica nota negativa è la delusione dovuta all'assenza di un cambiamento drastico: essendomi rifiutata di seguire tutta la soap-opera sulla scelta del batterista, non sapevo che aspettarmi e invece ho notato una
volontà di far vedere che non è cambiato niente, che tutto è ancora degno della qualità
precedente l'abbandono di Mike Portnoy. Mi dà la sensazione di un disco di transizione,
in cui si sono trattenuti in territori già conosciuti (sembrano in effetti canzoni che
avrebbero potuto stare in Six Degrees, Octavarium o nei più recenti) per poi cambiare
con il prossimo lavoro. Considerando che praticamente tutti i testi dell'album sono
incentrati su momenti di oscurità, di strade perdute e sulla volontà di reagire, aspetto
fiduciosa il prossimo cambiamento. ^^
Sono Mattia, il recensore. Chiedo scusa se non ho risposto subito ai commenti ma purtroppo non li ho visti immediatamente. Innanzitutto, premetto che qualche critica alla recensione da parte dei fan era prevedibile, più che altro per il taglio tecnico che magari potranno non apprezzare. Personalmente non posso che riconfermare quanto ho detto perchè questa è stata la mia impressione al primo ascolto. Non mi sono sentito di stroncare il disco perchè comunque brutto non è (i dischi brutti sono altri). Poi un assiduo ascoltatore dei Dream saprà sicuramente dare un giudizio più completo (conoscendo molto bene i loro dischi precedenti, le tematiche che trattano e così via). Io mi sono basato, come ho scritto nell'introduzione, solo su quello che mi diceva la musica appena uscita dalle casse, senza badare troppo al nome. Per quanto riguarda l'emozionalità, quella è soggettiva. Lo stesso effetto che ha descritto la lettrice io lo provo con gli Ayreon per esempio. I Dream Theater, tolta qualche canzone, mi danno poco in termini di emozioni. Per quanto concerne invece il primo "sarcastico" (il sarcasmo è sempre spiacevole) commento, ho affermato quanto ho detto in quanto io stesso cantante. Niente di personale, anzi: ho adorato la voce di Labrie in dischi come The Human Equation. Mi risulta che James abbia avuto problemi di salute non indifferenti in passato che ne hanno un po' pregiudicato la voce (ma di questo non sono sicuro). Per questo ho scritto le considerazioni da te contestate. Non mi permetterei mai di dire a James come cantare, è molto più bravo di me e di tantissimi altri (dovrebbe insegnare lui a me un po' di tecnica magari), ma forse gli suggerirei di abbassare le tonalità per evitare di perdere in termini di resa (e questo principio vale per tutti i cantanti di questo mondo). Mi spiace non trovarti d'accordo con me, ma sulle note alte in questo disco non mi è proprio piaciuto. Trovo che le prestazioni di Images & Words siano di tutt'altro livello. Ma la stessa cosa vale anche per il mio cantante preferito (Hansi Kursh dei Blind Guardian) che su disco ha una resa perfetta mentre dopo due o tre serate live è spompato e svociato fino alla fine del tour. Gli anni passano per tutti e per i cantanti (Bruce Dickinson e pochi altri a parte), purtroppo, spesso pesano. Poi, magari, è solo questione di qualità della registrazione e della produzione... Grazie comunque a tutti dei commenti e per aver letto la recensione! A presto, spero!
Ps: naturalmente, nei commenti, sentitevi liberi di aggiungere le vostre impressioni o le vostre sensazioni come ha fatto la lettrice (per inciso ho molto apprezzato il tuo commento). Io scrivo la recensione ma voi potete "completarla" se vi pare che non abbia approfondito adeguatamente certi punti che ritenete rilevanti!
Un ultimo appunto: questa è la prima recensione che scrivo in questo formato "primo ascolto". Se vi sembra che una recensione scritta in questo modo sia poco eloquente, fatemelo sapere. Sono aperto ai feedback e alle critiche, se costruttive!
Vagando per la rete ho scovato questa recensione.
Un primo appunto: per me le recensioni dovrebbero essere il più obiettive possibili, qui noto che i DT partono già svantaggiati.
Secondo appunto: la voce. seguo i DT da parecchio tempo e devo dire che ha avuto solo un periodo in cui la voce "traballava", per il resto ha avuto sempre la voce giusta per il gruppo, ergo questo accanimento continuo lo trovo un po' futile. Mi piacerebbe avere il commento di un cantante professionista per confrontare le varie fasi del canto. Detto questo mi sembra inappropriato commentare senza avere le basi per farlo.
Ciao!
Ciao a te e grazie del commento! Più leggo i commenti, più mi rendo conto che forse in questa mia (diciamo) "recensione d'ascolto in real time" non sono riuscito a trasmettere adeguatamente il mio pensiero riguardo questo discusso album. Innanzitutto permettimi di dissentire col primo appunto: non direi che i DT partano svantaggiati, dal momento che nei loro confronti provo sentimenti piuttosto neutri. Ho cercato di comunicare di volta in volta solo quello che il brano (sottolineo) al primo ascolto mi trasmetteva, mantenendo l'obiettività. Se purtroppo questa obiettività non è emersa mi scuso: migliorerò l'esposizione la prossima volta. Per quanto concerne la voce: come ho già detto in un commento precedente, io stesso sono cantante (anche se non professionista) da diversi anni e queste sono state solo le mie considerazioni riguardo una prestazione che, per un cantante del calibro di Labrie, ho trovato in alcuni momenti davvero sottotono. Purtroppo, il track by track può aver dato l'impressione di un mio accanimento contro il buon James (che di norma apprezzo). In realtà trattasi di impressioni negative che ho evidenziato traccia per traccia (e quindi ripetutamente). Comunque mi pare di aver dato a Cesare quel che è di Cesare ogni qual volta, a mio avviso, la voce fosse meritevole di plauso (come in This is the life, Breaking all illusions o Outcry). Poi, come ho più volte ripetuto sono state solo delle mie impressioni: nessuno ha la verità assoluta. Grazie mille del tuo commento! Spero che tu legga altri nostri articoli in futuro! A presto!
Ciao! Dall'analisi da te affrontata, emerge un difetto di base:
il prog metal non si può giudicare ad un primo ascolto! l'analisi non regge di per sè!
Per svolgere una recensione del genere dovresti orientarti su altre tipologie musicali.
Si potrebbe andare avanti all'infinito a dire mi piace, mi ma schifo ecc.
Sono tutte impressioni soggettive.
Ciao! Grazie delle osservazioni e dei suggerimenti! Ciò che dici è giustissimo, infatti la scelta dell'ultimo album dei DT è stata quantomeno azzardata per sperimentare questo tipo di analisi (le altre recensioni da me scritte, se ti è capitato di leggerle, sono di tutt'altro stampo). Per questo ho inserito in coda il commento a freddo (che ho scritto dopo aver ascoltato l'album 4-5 volte). Tuttavia, capisco che per un disco prog possa non essere del tutto esaustivo. Comunque, dopo svariati altri ascolti del disco, non posso che confermare quanto ho detto nell'articolo. Probabilmente, come diceva qualcuno, si tratta di un disco di transizione. Vedremo cosa scriveranno in futuro. Sono certo che tutti questi feedback che sto ricevendo (positivi o negativi) mi aiuteranno a effettuare analisi musicali migliori in futuro. Grazie del commento! Spero di ritrovarti di nuovo presto su Vasi Comunicanti!
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