Ben ritrovati alla seconda parte
dello speciale sui The Alan Parsons Project. Prosegue la nostra panoramica
della discografia del noto duo prog rock. Dopo aver parlato dei primi due
grandi lavori, risalenti alla seconda metà degli anni ’70, veniamo ai dischi
della consacrazione.
Pyramid (1978)
Con questo lavoro, il Project
inizia a delineare quello che diverrà lo stile dei loro album anni ’80. Il
cambiamento “definitivo” (anche se meno marcato in realtà di quanto possa
apparire) è tuttavia lontano. Come i dischi precedenti, anche Pyramid viene registrato a Abbey Road ed
è tematicamente incentrato, appunto, sulla figura della grande piramide di
Giza. In quel periodo infatti, s’era prodotto nel Regno Unito e negli Stati
Uniti un certo interesse attorno all’Antico Egitto, più che altro come
conseguenza dell’entusiasmo generale nei riguardi del cosiddetto “pyramid
power” (teoria che afferma che la forma piramidale abbia poteri soprannaturali
che influenzano cose e persone nei più svariati modi). Il tema dellAntico
Egitto emerge nelle canzoni del disco anche se in modo meno marcato rispetto al
passato. La durata dei brani si accorcia sensibilmente e anche il numero di
variazioni all’interno degli stessi diminuisce. Nonostante questo, la varietà
stilistica rimane inalterata dal momento che le tracce sono tra loro molto
differenti. Dovendo citarne alcune sceglierei certamente la beatlesiana What
goes up…, Cant’take it with you o la bella The shadow of a lonely man.
A parer mio però i brani più interessanti sono senza dubbio gli strumentali:
quando penso a Pyramid, penso a Voyager,
Hyper-Gamma-Spaces
e a Inthe lap of the gods (la mia preferita).
Eve (1979)
Nel 1979 esce il quarto
full-length del duo inglese. Trovo nteressante la cadenza annuale con cui
vengono pubblicati gli album: denota un’ispirazione artistica impressionante se
contiamo la qualità e la diversità stilistica dei lavori. Quando, nel corso
della prima parte dello Speciale, dissi che i The Alan Parsons Project erano in
grado di utilizzare la formula concept nei modi più differenti, mi riferii a
questo disco. Eve non si rifà a
libri, racconti o temi esotici/esoterici ma alla vita quotidiana. I testi sono
infatti basati sulla figura della donna e su come gli uomini si rapportano con
essa. Musicalmente il disco è davvero valido, forse, in alcuni punti, più di Pyramid. Nuovamente di breve durata, mi
pare di cogliervi un ritorno all’impostazione dei primi due album (benchè
naturalmente le atmosfere siano completamente differenti). Tuttavia, lo stesso Pyramid echeggia in qualche modo non
meglio definibile durante l’ascolto. Per la prima (e unica volta) sono presenti
voci femminili su due brani: quelle di Clare Torry (la voce di The
great gig in the sky dei Pink Floyd) e di Leslie Duncan (cantante
britannica piuttosto nota nei ’70 e, purtroppo, deceduta di recente). Tra i
pezzi migliori potrei citare le splendide I’d rather be a man, Winding
me up e Damned if i do.
The Turn Of A Friendly Card (1980)
Eccoci quindi giunti a quello
che, personalmente, ritengo il capolavoro assoluto del duo Parsons/Woolfson. Il
disco in questione è anche l’ultimo che mi sentirei di definire completamente
“prog”: vedremo poi perché. Dietro alla magnifica cover (il riferimento alla
cattedrale è poi ripreso nell’ultima, lunghissima, canzone) si celano delle
vere perle musicali di inestimabile valore. Il tema, questa volta è il gioco
d’azzardo, di come può trasformarsi in una dipendenza e di come può portare
persone ragionevoli a perdere tutto. Musicalmente, il disco è progressive, rock
e, se mi capite, Alan Parsons Project all’ennesima potenza. Tutto quanto fatto
finora giunge a sublime coronamento in un disco che non ha punti morti o cali
di tono pressochè mai. Con The Turn Of A
Friendly Card, fa il suo debutto al microfono Eric Woolfson: il suo stile
vocale è forse inizialmente da affinare, ma diverrà presto un trademark della
seconda fase del Project. Difficile, soprattutto per il sottoscritto, isolare
dei brani. Dovendo, mi
sentirei di indicare May be a price to pay, Games
people play e The gold bug. I lettori mi
perdoneranno se dedico qualche riga al brano che per me meglio rappresenta i The
Alan Parsons Project: la lunga suite che porta il nome dell’album. Inizialmente
un pezzo unico (della durata di circa 16 minuti), è stato, nelle successive
edizioni del disco, suddiviso nei suoi cinque “movimenti”. Inutile dire che
esso raggiunge l’apice quando ascoltato d’un fiato. Il tema pianistico e
malinconico dell’introduzione viene ripreso nel finale mentre, nel mezzo, si
sviluppano tre “sotto-brani”: Snake eyes (pezzo rock che a parer
mio riproduce benissimo l’atmosfera di una bisca), The ace of swords
(strumentale introdotta da un meraviglioso clavicembalo) e Nothing left to lose
(pezzo melodico cantato da uno strepitoso Woolfson cui segue quello che può,
idealmente, rappresentare l’assolo dell’intera canzone). L’unione di tutto
questo è LA canzone: The Turn Of A Friendly Card. Se
amate la Musica, questo è un disco da avere assolutamente.
Gli altri album
Come avevo affermato in
precedenza, fatico a definire “prog” i dischi successivi. In realtà lo stile
del duo, data la sua unicità, è sempre ben riconoscibile: tutte le canzoni del
Project, suonano come canzoni del Project, se capite cosa intendo dire. Il
fatto è che i brani tendono a essere molto orecchiabili e tendenzialmente meno
complessi e sperimentali rispetto al passato (oltre che di qualità inferiore).
Mi sentirei di definirlo un rock con venature prog più che un prog rock vero e
proprio. Naturalmente, a me per primo, queste etichette dicono poco: sta
all’ascoltatore trovare una propria personale definizione. Mi esprimo in questo
modo per poter comunicare, in modo semplicistico le mie impressioni. Non si
cada però nel banale errore di sottovalutare tali album solo perché un po’ più
“facili”. Pur non trattandoli approfonditamente, mi permetterò di citarli e di
consigliare qualche brano ai gentili lettori.
Eye in the sky –
il disco più celebre del Project. Da ascoltare: Sirius, Eye in the sky, Old
and wise.
Ammonia Avenue –
concept sull’inquinamento. Da ascoltare: Let me go home, Ammonia Avenue.
Vulture Culture – concept
sul consumismo. Da ascoltare: Let’s talk about me, Separate
Lives, Hawkeye, Vulture Culture.
Stereotomy – concept
sulla celebrità e sui suoi effetti sulle persone. Da ascoltare: Beaujolais,
Stereotomy.
Gaudi – concept incentrato sulla figura dell’omonimo architetto catalano. Da ascoltare: La Sagrada Familia.
Freudiana – Mi si
permetta di citarlo e di spendervi due parole, nonostante non faccia parte
della discografia ufficiale del Project. Trattasi di un album dalla varietà
stilistica spaventosa. Mi sentirei di dare ragione a Woolfson: l’impostazione è
senza dubbio quella di un musical. In svariati brani si può ancora sentire lo
stile dei The Alan Parsons Project in tutto il suo passato splendore. Altri brani
sono smaccatamente ispirati alle sonorità dei Beatles anche se, in generale, il
lavoro è ricco di influenze (sia interne che esterne agli APP). Sicuramente interessante. Da
ascoltare: The Nirvana principle, Freudiana, I am a mirror,
Beyond the pleasure principle, There but for the grace of God.
Spectraeon_86
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