Dopo svariati mesi di pressanti impegni, finalmente, rompo il silenzio e riesco a tornare a scrivere qualcosa per Vasi Comunicanti. Questo è un articolo che desideravo scrivere da diversi mesi, in attesa delle nuove uscite musicali primaverili. Giusto qualche mese fa avevamo parlato di Alan Parsons Project e della loro ecletticità; vorrei ora portare la vostra attenzione a quello che mi piace scherzosamente definire “l’Alan Parsons Project del nuovo millennio”. Quanto è cambiata la musica dagli anni ’70 a oggi? Abbastanza da far sì che svariati musicisti potessero farsi strada nel mondo, generando sonorità come l’hard rock, l’heavy metal, la musica elettronica e chi più ne ha più ne metta. Ciascun, diciamo, “genere” musicale (soprattuto quelli “figli del rock”) pare, nella maggior parte dei casi, fin troppo concentrato su se stesso, deciso più che mai a portare avanti un discorso sonoro secondo stilemi ben precisi e omaggiando ripetutamente i grandi del passato con una devozione e con una costanza allarmanti. Naturalmente, la pena per il cambiamento stilistico è l’accusa di tradimento. Se è facile accusare di integralismo musicale i fan di oggi, è altrettanto facile, mettendoci nei loro panni, comprenderli, almeno parzialmente: dopotutto, ai sentimenti non si comanda. Vero è altresì il fatto che, su questa via, l’evoluzione sonora si asintotizzerebbe. E sarebbe davvero la fine. Esistono anche oggi, tuttavia, progetti musicali, per lo più nell’underground, estremamente interessanti e dal sound variegato. Per quanto mi riguarda, il portabandiera indiscusso di questo piccolo gruppo di irriducibili rivoluzionari, è Arjen Anthony Lucassen.
L’artista e il progetto
Olandese, sulla cinquantina, alto, biondo e lungocrinito. Così si presenta uno dei musicisti più poliedrici e affascinanti della scena rock moderna. Prog rock, prog metal, elettronica, folk: tutto questo confluisce in Lucassen che, dal canto suo, si dimostra sempre capace di miscelare il tutto nella maniera più efficace. Polistrumentista di grande fama, principalmente chitarrista e tastierista, ottimo produttore, cantante discreto, compositore eccezionale. Vanta trascorsi in svariate band, spesso da lui stesso create, e non meno di venti album pubblicati durante la sua carriera. Tra questi, spiccano senz’altro quelli pubblicati con il nome Ayreon. All’inizio, accostai il progetto agli Alan Parsons Project e questo si deve a tre fattori: la varietà stilistica, i concept album e agli ospiti illustri. Il progetto Ayreon ha all’attivo sette album, composti e suonati pressochè interamente da Arjen stesso, contenenti brani lunghi e articolati e, il più delle volte, legati tra loro da testi di matrice sci-fi/fantasy. Come per gli AAP, anche questi lavori possono vantare una vasta schiera di ospiti illustri dietro al microfono: Bruce Dickinson (Iron Maiden), James Labrie (Dream Theater), Russell Allen (Symphony X), Jorn Lande (ex-Masterplan, ex-Ark), Hansi Kursch (Blind Guardian). Solo per citarne alcuni tra i più noti…
I testi e la fantascienza
Veniamo all’aspetto, a parer mio, più interessante del progetto: le liriche. Le definii sci-fi/fantasy. Se definire il fantasy è relativamente semplice (mi riferisco per lo più alla scuola tolkeniana, howardiana e moorcockiana), definire la fantascienza è più complicato. Non mi occupo di letteratura e non ho background scolastico per parlarne approfonditamente ma sono dell’idea che tutti, bene o male, abbiano una propria idea di ciò che è la fantascienza. Come sono certo del fatto che molti, dovendo rispondere a una domanda in merito, risponderebbero che la sci-fi è “il genere con le astronavi”. Certo, non sarebbero troppo lontani dalla verità anche se, una lunga schiera di racconti e scrittori, pubblicati decentemente in Italia qualche decennio fa (e ormai quasi introvabili per chi, come me, non disponga di un padre detentore di una nutrita collezione di vecchi Urania, nda), testimoniano che la sci-fi non è solo questo. Hi-tech, low-tech, alieni, scenari post-apocalittici o futuri grandiosi…personalmente, amo definire sci-fi, tutto ciò che avanza ipotesi, più o meno realistiche, sul futuro dell’umanità. Detto questo, non posso quindi non considerare la saga narrata negli album di Ayreon come sci-fi vecchio stampo all’ennesima potenza.
Il concept
Con l’eccezione di Actual Fantasy (1996), di cui non tratteremo, tutti gli studio-album targati Ayreon sono tra loro legati…anche quando non sembra. L’evento centrale del concept è un’ipotetica estinzione umana datata 2084. Un gruppo di scienziati e ricercatori, avanguardia del sapere di una razza umana sull’orlo del baratro, riesce infine a mettere a punto un sistema che definiscono "Time Telepathy". Attraverso questo dispositivo, inviano un messaggio nel passato per tentare di cambiare la storia e fermare il tracollo dell’umanità. Tale messaggio verrà intercettato dalla recettiva mente di un menestrello cieco, Ayreon, che vive in una Gran Bretagna medievale dominata da re Artù. Egli tenterà di portare il profetico messaggio a conoscenza della gente, con risultati prevedibili (dopotutto, siamo nei Secoli Bui). La profezia resterà inascoltata con tutto ciò che ne consegue. Questa la storia dietro ai testi del debut album The Final Experiment (1995). Interessante, direte voi, ma nulla di eccezionale. In realtà, questo è solo l’inizio. Il bello deve ancora venire…
Gli album
Eccoci dunque al nocciolo: la musica. Vediamo quindi i sei album lungo i quali si sviluppa la storia che Arjen ci racconta, i diversi capitoli che la compongono e, soprattutto le caratteristiche musicali che rendono questo progetto unico.
The Final Experiment (1995)
Il debutto, del cui concept abbiamo già parlato, è un disco di notevole caratura. Album dal forte flavour prog metal e da toni medievaleggianti alla maniera di certo prog rock seventies. Lo stile di Lucassen è già ben delineato anche se questo disco mi è sempre parso un po’ fuori dal coro, forse per il fatto che i cantanti ancora non hanno un ruolo preciso all’interno del concept (il personaggio di Ayreon è interpretato di volta in volta da diversi singer). Benchè gli ottoni sintetizzati, dal suono vagamente e piacevolmente vintage, la facciano spesso da padrone, non mancano brani dal taglio più moderno. Difficile estrapolare episodi particolari (regola valida anche per tutti gli album seguenti). Ciascun pezzo è un discorso a se stante. Premetto dunque che nessuno dei pezzi allegati di seguito può considerarsi completamente rappresentativo.
Into The Electric Castle (1998)
Otto personaggi (volutamente stereotipati, esagerati e, come disse qualcuno, molto influenzati dai B-movies fantascientifici), provenienti da diverse epoche e da diversi luoghi, si ritrovano in un luogo al di là dello spazio e del tempo, richiamati da chissà quale forza ultraterrena. Insieme, dovranno farsi largo fino a raggiungere il cuore di una labirintica struttura, l'Electric Castle, per poter fare ritorno a casa. Sulla loro strada, verranno messi a confronto con le loro paure, con le loro coscienze e con le rispettive ipocrisie, in una successione di mortali prove di forza e volontà fino alla rivelazione finale. Una creatura aliena, che si presenta solo come “Forever of the stars”, mantenuta in vita da macchine, li ha riuniti per poter analizzare le loro emozioni. Egli è infatti, da millenni, incapace di provarne: ne ha perso la capacità a seguito del processo di ibridazione che lo ha reso immortale. I pochi sopravvissuti potranno fare ritorno a casa, ma non ricorderanno nulla. Un concept interessante e apparentemente slegato al precedente (di questo ne riparleremo) caratterizza quello che considero il più classicamente progressive tra gli album di Ayreon. Su di una solida base di tastiere di matrice prog si innestano le chitarre, ora di settantiana memoria, ora decisamente più metal. Non mancano divagazioni strumentali tra tempi dispari mai fastidiosi o forzati, intermezzi atmosferici, assoli, effetti magistralmente integrati nel contesto e tastiere sempre presenti e fantasiose. Sul variopinto tappeto musicale tessuto dagli strumenti di Arjen si vanno a intrecciare le voci degli interpreti, tutti di grandissimo calibro, ciascuno stavolta immedesimato nel proprio ruolo dall’inizio alla fine. Non potrei davvero descrivere questo lavoro più di così. Una vera e propria esperienza sonora. Giudicate da voi dopo un ascolto approfondito.
Spectraeon_86
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