Takashi Miike è un personaggio piuttosto particolare. Nato nel 1960 a Yao, nella provincia giapponese di Osaka, Miike è stato sceneggiatore e regista televisivo prima di dedicarsi al cinema: nel 1991 esordisce con i film d’azione Eyecatch Junction e Lady Hunter. Da lì in poi comincia a dirigere in media cinque-sei film all’anno, perlopiù d’azione violenta spesso ambientata nel mondo della Yakuza, la mafia giapponese; tra il 2001 e il 2002 arriva a firmare ben 14 pellicole. Non molte delle sue opere sono arrivate nelle sale occidentali, ma tra queste lo splatter Ichi the Killer (2001), l’horror The Call – Non rispondere (2003) e il film d’animazione Yattaman (2009) hanno riscosso un notevole successo. La sua trilogia conosciuta come Black Society, girata tra il 1995 e il 1999, piacque tantissimo a Quentin Tarantino, tanto che questi ne ha citato la frase finale in Kill Bill vol. 1 (Uma Thurman recita: “Un giorno, se la cosa ti brucerà ancora e vorrai vendicarti, io ti aspetterò”). Miike non è particolare solo per la sua prolificità o per la sua volontà di esplorare generi e temi molto diversi con i suoi film, ma anche per l’alta dose di violenza e di perversione che scaturiscono dai suoi personaggi e dalle loro vicende: scontri disperati, fughe impossibili, drammi familiari, avventure fuorilegge, il tutto messo in scena con montaggi molto dinamici, in cui si alternano piani sequenza e tagli veloci da videoclip.
Ed è esattamente quanto troviamo nel suo nuovo 13 Assassini (Jûsan-nin no shikaku, 2010), remake dell’omonimo film del 1963 diretto da Eiichi Kudo, presentato in concorso alla 67° Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia e arrivato nelle sale italiane lo scorso 24 giugno. Esso appartiene al jidai-geki, termine che indica un film o una rappresentazione teatrale ambientati nel periodo Edo, ovvero gli anni tra il 1603 e il 1868, in cui la dinastia dei Tokugawa detenne il potere politico e militare in Giappone.
Il malvagio Naritsugu Matsudaira (Gorô Inagaki), fratello minore dello shogun (generale alle dirette dipendenze dell’imperatore), è solito stuprare, mutilare e trucidare i suoi servi per divertimento, e si appresta a diventare un pericolosissimo comandante dell’esercito giapponese; un alto funzionario del governo, impossibilitato a condannarlo pubblicamente per i suoi atroci crimini, assolda il coraggioso e onorevole samurai Shinzaemon Shimada (Kōji Yakusho) e tutti i samurai che riuscirà a riunire per mandarli a uccidere Naritsugu. Tra i samurai del gruppo spiccano Shinrokurō Shimada (Takayuki Yamada), vizioso nipote di Shinzaemon in cerca di redenzione, il feroce ronin (samurai mercenario) Kujūrō Hirayama (Tsuyoshi Ihara), il giovanissimo Shōujirō Ogura (Masataka Kubota) e il cacciatore vagabondo Koyata Kiga (Yūsuke Iseya), estraneo al mondo dei samurai ma simpatico, solidale e bravo a spaccare crani a suon di pietrate. Al servizio dell’empio Naritsugu c’è però Hanbei Kitou (Masachika Ichimura), esperto di battaglie e fedele al suo signore a prescindere dalle sue azioni, nonché acerrimo rivale di Shinzaemon. La task force di samurai ribelli organizzerà un agguato al corteo di Naritsugu in un piccolo villaggio di confine, installandovi parecchie trappole letali e preparandosi al “massacro totale” implorato da una vittima del cattivo. Riusciranno i nostri sparuti eroi ad affettare le centinaia di soldati nemici e a riportare la pace nel paese?
Filmone epico che a noi occidentali ricorda concettualmente 300, 13 Assassini parte con alcune sequenze molto crude, passa per delle fasi più ragionate (e fin troppo lente) per poi sfociare in un caotico bagno di sangue. Gli attori sono tutti molto solenni (tranne Koyata) nel loro affrontare un destino tragico e ineluttabile, e la battaglia nel villaggio è degna di un kolossal, con ambienti e costumi curatissimi e coreografie entusiasmanti. In primo piano c’è il tema dell’obbedienza del samurai alla gerarchia, ferreamente rispettata da Hanbei e a cui invece Shinzaemon sceglie di ribellarsi nel nome del popolo calpestato dalla follia del suo signore; tema che si può accostare alla sregolatezza dello stesso regista Miike e alla sua scarsa considerazione per il cinema più tradizionale e per le leggi del mercato. Ma aldilà delle elucubrazioni dei critici, degli storici e dei filosofi, 13 Assassini rimane essenzialmente un potente film storico d’azione splatter, con moltissime scene brutali, pochi personaggi caratterizzati a sufficienza, qualche gag divertente e un folklore dal carisma indiscutibile. Un sentito grazie alla BIM Distribuzione per averlo portato in Italia, anche se in pochi cinema e con una scarsissima promozione pubblicitaria, carenze che probabilmente ne decreteranno il flop commerciale.
Lor
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