mercoledì 23 maggio 2012

Speciale Sonata Arctica, parte 1: da Ecliptica a The Days of Grays

L’uscita nei negozi del nuovo album dei finlandesi Sonata Arctica è ormai imminente. Prima di redigerne una recensione (che si preannuncia assai difficile, a giudicare dai trailer online), ho pensato che sarebbe stato utile presentare ai lettori di VC una delle band fiore all’occhiello del panorama musicale rock/metal europeo, autrice non solo del nuovo Stones Grow Her Name, ma anche di illustri (talvolta illustrissimi) album di musica metal melodica. Torniamo quindi al metal, dopo gli ultimi articoli riguardanti prettamente il prog? Non del tutto in effetti. Perché, ascoltandone le composizioni, è facile accorgersi che col tempo i Sonata Arctica sono divenuti qualcosa di diverso dalla classica band power metal...

La band

Il nome è tutto un programma. Sonata Arctica richiama alla mente panorami nordici, pregni di una bellezza fredda e maestosa, e foreste scandinave dagli alberi innevati. Ed è proprio in Scandinavia, più precisamente in Finlandia, che sul finire degli anni ’90, fa la sua comparsa un complesso destinato a lasciare un segno; e non solo in Europa. Certo, non sarà profondo quanto quello lasciato da gruppi più blasonati quali Iron Maiden o Metallica (e stiamo citando solo i più noti). D’altra parte, gli anni ’80 sono finiti da un pezzo e, sebbene il metal sia ben lungi dall’essere sulla via del pensionamento, ha ormai abbandonato il circuito mainstream in molti Paesi. Eppure, i Sonata Arctica possiedono quel “non so che”, quel guizzo artistico che lasciava intendere che quei ragazzi capelloni, che tributavano in maniera poco velata le sonorità degli Stratovarius, erano destinati a lasciare l’underground molto presto. La band nasce nel 1995 con il nome di Tricky Beans, nome spiritoso che fatichiamo ad associare a quel che il gruppo è oggi, e comprendeva gran parte della line-up attuale. Vediamo infatti i fondatori Marko Paasikoski (poi al basso) e Jani Liimatainen alle chitarre, Tommy Portimo alla batteria e, soprattutto, Tony Kakko (vediamo di esaurire qui tutte le risate, nda) alle tastiere e alla voce e che diverrà la vera spina dorsale della band. Il gruppo suona inizialmente hard rock, spostandosi nei successivi anni al metal sinfonico di matrice Stratovarius e cambiando nome (in virtù delle liriche sempre più serie) dapprima in Tricky Means, quindi nel definitivo Sonata Arctica. Tony abbandona le tastiere, dietro alle quali si posiziona Mikko Härkin, per dedicarsi alla voce e alla composizione. Lo stile della band, insieme a pressochè tutti i brani, si deve solamente al suo estro creativo. Questo aspetto sarà contemporaneamente il maggior punto di forza e il più pericoloso punto debole della band. Nel 1999 esce, per l’etichetta Spinefarm, il debut Ecliptica.

Gli album

Passiamo dunque in rassegna, con occhio il più possibile critico, i lavori della band. 

Ecliptica (1999)

Dietro alla copertina blu del debutto, si cela un lavoro di classico power metal scandinavo (è bene specificarlo, prima che qualcuno pensi di imbattersi in un lavoro teutonico alla Gamma Ray). È vero: corre l’anno 1999 e molto è già stato detto in tal senso. Difficile per un gruppo di esordienti allontanarsi troppo dai propri idoli e sfornare qualcosa di nuovo e originale. Cos’hanno, questi ragazzi, da offrire al mondo che altri già non abbiano dato (a parte la velocità d’esecuzione)? Poco, per ora. Forse pochissimo. Eppure c’è un aspetto estremamente rilevante: a distanza di tredici anni, le canzoni sono belle. I Sonata sanno scrivere belle canzoni, al cento per cento metal (e vale sia per le ballad, sia per le speedy songs) ma, soprattutto, spaventosamente orecchiabili e cantabili. Peccano, senza dubbio, di poca originalità e talvolta di ingenuità. A partire dalla voce di Kakko, dal timbro bellissimo, ma spinta in parti acute un po’ “di genere” e, a volte, un tantino non necessarie. Difetti comunque che passano in secondo piano rispetto alla piacevolezza delle canzoni. In conclusione, perchè ascoltare Ecliptica? Perchè sarà anche vero che suona “come gli Stratovarius” (anche se, tutto sommato, solo fino a un certo punto), ma in nessun album degli Stratovarius troverete le bellissime canzoni di Ecliptica. Semplice, no? 



Silence (2001)

Eccoci dunque al secondo lavoro. Cosa è cambiato rispetto al precedente? Non molto, per la verità. Tredici tracce che sono, forse, ancora più “power metal” e veloci di quelle di Ecliptica. I brani non perdono però un’oncia di incisività: trattasi di ottime e ispirate composizioni. Non escono, forse, dagli schemi del genere dichiarato, ma sono, come quelle di Ecliptica, melodiche ed eccezionalmente accattivanti. A mio avviso, i risultati migliori si ottengono quando la band rallenta i tempi, permettendo alla distintiva voce di Tony di sfoderare tutta la sua emozionalità. Ne è esempio lampante quello che ritengo il pezzo in assoluto più riuscito del platter: The End Of This Chapter. Riscontriamo, in definitiva, più o meno i medesimi difetti già presenti in Ecliptica, cui aggiungerei (se di difetto si può parlare) un pizzico di dispersività. I brani più lenti e riflessivi sono seguiti da bordate di doppia cassa di velocità impressionante. Ritengo che, in alcuni casi, questo sia stato fatto per massimizzare l’impatto dei pezzi più spinti. Tuttavia, non posso fare a meno di ritenere questo lavoro, sotto questo aspetto, “poco compatto”; richiama alla mente un alternarsi di stati d’animo molto differenti, tipici della gioventù, più che un maturo e graduale andirivieni di pensieri. Un grandissimo lavoro, comunque, forse addirittura un classico del genere e che merita senza dubbio più d’un ascolto. Per molti,il lavoro definitivo della band. 




Winterheart's Guild (2003)


Il terzo album è un traguardo di estrema importanza per una band. In moltissimi casi, si tratta del disco della consacrazione, di un qualcosa che dirà se la band è degna di nota o solo una delle tante. Spesso ci si aspetta un lavoro dalla grandiosità artistica immensa e che proponga qualcosa di nuovo; qualcosa che dica davvero di che pasta è fatto il gruppo. Soprattutto quando, lo stesso gruppo, è un figlio così evidente di un genere creato da altre realtà musicali precedenti, per quanto belle siano le canzoni che incide. Winterheart’s Guild come si raffronta con le alte aspettative della critica? Accontenterà solo i fan (ormai moltissimi) o segnerà un distacco dal passato? In pratica: i Sonata Arctica sanno camminare con le proprie gambe? Non del tutto, almeno per ora. I Sonata Arctica posticipano il salto di qualità mentre riassestano la line-up. Härkin lascia la band. Lo sostituirà, in pianta stabile, il bravissimo Henrik Klingenberg. Il disco viene però registrato pima, insieme a Jens Johansson degli Stratovarius, dal momento che il posto di tastierista è vacante. Un segnale forte che mostra come il cordone ombelicale della band ancora non sia caduto del tutto. Tony Kakko pare reticente a variare il proprio stile compositivo e, di conseguenza, la band fatica a evolversi più di tanto. Qualche tentativo già lo si nota, di quando in quando, durante l’ascolto: canzoni come Gravenimage e Broken si discostano, almeno parzialmente, dalla maggior parte del materiale precedente. Tuttavia è difficile, per me, dare all’album un giudizio diverso rispetto a quello espresso nei confronti dei buonissimi predecessori. Buone canzoni, orecchiabili, cantabili e ottimamente suonate, ma ancora poca originalità. Un disco buono, forse più che buono, ma che non raggiunge a mio avviso, se non in alcuni passaggi davvero ottimi, la qualità compositiva del debutto Ecliptica, che aveva dalla sua l’arma della spontaneità, e di Silence, ispirata dimostrazione dell’abilità della band di muoversi all’interno del proprio genere con competenza e maestria. 



Reckoning Night (2004)

Eccolo, il pomo della discordia. L’album che ha diviso la critica e i fan e che ha cambiato tutto, per sempre. Per qualcuno, i Sonata Arctica finiscono qui. Per altri, iniziano qui. Quando ripenso alla data d’uscita di questo disco, ancora fatico a crederci. A un solo anno di distanza da Winterheart’s Guild, vede la luce Reckoning Night: l’album che aspettavo. Tutto poteva voler dire un solo anno di composizione: scarsa ispirazione, fretta o chissà cos’altro. Ben pochi, penso, si aspettavano quella che ritengo una maturazione incisiva e repentina. Certo è che, personalmente, ho davvero faticato ad apprezzare quest’album, all’inizio. Un ragazzino di diciotto anni, fissato col power metal e la doppia cassa, come deve reagire quando i Sonata Arctica registrano un lavoro così...diverso? Perchè è questo l’aggettivo più corretto. Reckoning Night è, semplicemente, diverso da tutto ciò che la band è stata fino ad ora. È power metal, eppure non lo è del tutto. È melodico, orecchiabile e cantabile, ma non nella maniera cui eravamo abituati. La cosa che, però, colpisce di più è che suona incredibilmente Sonata Arctica: finalmente, la band ha uno stile che la rende riconoscibile, anche quando le composizioni escono dai canoni del power metal. Cambi di tempo (che talvolta diventa dispari), linee vocali originali, velocità diminuite, intermezzi strumentali nuovi e interessanti. Maturità è fatta: i Sonata Arctica sono una band con la quale il mondo metal, e non solo, dovrà fare i conti. Non è fatta per piacere ai fan del tal o del tal altro gruppo. Cammina sulle proprie gambe, si muove bene e con eleganza. Il singolo Dont’t Say A Word è spiazzante e bellissimo con i suoi intermezzi da brividi ma, per essere giusti, occorrerebbe citare tutti i brani. Mi risulta più semplice consigliarne caldamente l’ascolto. Ascoltatelo e fatevi una vostra idea: come sempre, quando si parla di un lavoro discusso. Doverosa precisazione: naturalmente, per molti dei metal-heads più oltranzisti, questo album è stato un tradimento imperdonabile. Se appartenete a questa corrente di pensiero, lasciate perdere. Unico punto debole, se proprio devo trovarne uno, la presenza della “carina” ma assai scontata My Selene (unico brano non scritto da Kakko ma, mi pare, da Liimatainen), canzone che mal si adatta al contesto sonoro del platter e che avrei apprezzato di più se avesse fatto parte di un qualsiasi album d’esordio. Ironicamente, al primo ascolto, fu l’unico pezzo che mi piacque davvero... beata gioventù. 



Unia (2007)

C’è un aneddoto riguardo questo disco. Quando uscì, si lessero le recensioni più disparate, sulle riviste e in giro per la rete. Non ricordo più dove, lessi una “mezza stroncatura” che paragonava la band, nella persona di Tony Kakko, allo studente migliore della classe che sbaglia un’interrogazione. Credo che noi tutti possiamo ricordare un simile episodio, accaduto chissà quando ai tempi delle medie o del liceo. Lo studente, chiamato dal professore, si avvia al suo destino tremando, conscio dell’imminente fallimento, perchè sa benissimo di non essersi preparato come al solito. La simpatia di quell’articolo mi rimase impressa e me ne ricordo tutt’ora, a distanza di cinque anni. Che dire: calza alla perfezione. Certo, forse non parlerei di un votaccio quanto di una mezza debacle: inevitabile; tutti vi incappano prima o poi. Il disco è strano. Vorrebbe essere un’evoluzione del predecessore, qualcosa di ben lontano dal ritorno alle origini che molti fan speravano, ma la band manca il bersaglio realizzando un punteggio ben al di sotto delle aspettative. Ammirevoli, naturalmente, le intenzioni. Credo che ciò che la band volesse ottenere si possa intravedere in brani come Caleb, forse il pezzo più riuscito. Intendiamoci, le canzoni non sono brutte: è solo che paiono incomplete, insicure, come se chi le avesse scritte avesse ben in mente l’obiettivo, ma non altrettanto bene la via per raggiungerlo. Una buona metà dei brani sono piacevoli, a mio avviso, ma appare chiaro che il nuovo stile deve essere rodato ancora un po’. Impressionante, però, come per partorire Unia ci siano voluti tre anni. Per il nettamente superiore Reckoning Night, ne era bastato uno. I tempi dell’ispirazione sono davvero imprevedibili. 





The Days of Grays (2009)

Quando questo lavoro uscì, devo ammetterlo, trattenni il fiato. Avvicendamento in line-up: esce Liimatainen ed entra il “guitar hero” Elias Viljanen. Benchè Kakko, sia il maggior compositore, l’uscita di Jani, figura centrale e carismatica nella band, potrebbe causare un po’ di smarrimento... C’era una buona possibilità che il nuovo album fosse un flop, che i Sonata Arctica non riuscissero a gestire la nuova direzione artistica intrapresa. C’era una buonissima possibilità che tornassero alle origini, cosa che non posso fare a meno di ritenere un fallimento per la band, un’involuzione, anche se molti fan forse ne avrebbero gioito. Oppure poteva essere un capolavoro. Tutto poteva essere. Fortunatamente, mi bastarono pochi ascolti per ritenerlo un album dalla qualità elevatissima, estremamente variegato e maturo. Il degno successore di Reckoning Night non copia lo stile di quest’ultimo: comincia da dove questi aveva lasciato e si spinge più avanti. Prende gli aspetti migliori di Unia e li integra bene con tutto ciò che i Sonata Arctica sono stati prima. La band perde quella che è stata, in passato, una delle sue migliori qualità, l’orecchiabilità, ma guadagna immensamente in termini di complessità avvicinando la propria proposta sonora a una sorta di progressive (non “progressive metal”, si badi bene). Benchè, al solito, lo stile sia riconoscibilissimo, il tutto suona nuovo e moderno, arricchito di quando in quando da un inedito uso di filtri vocali o di insoliti synth. Si passa da brani tetri ma dal sound classico, come Deathaura (davvero grandioso), a esperimenti sonori come la bizzarra Zeroes, che potrà non incontrare i gusti di tutti gli appassionati, ma che trovo decisamente riuscita. Pezzi molti differenti tra loro, quindi, e ricchi di variazioni. Anche quando la band decide di omaggiare i fan della prima ora, con la melodica e veloce Flag In The Ground (l’unico pezzo di cui forse si poteva davvero fare a meno, visto il contesto), le influenze del nuovo corso sono ben in evidenza. Consiglio quindi un ascolto approfondito e consiglio altresì di acquistare, se possibile, la versione contente la bonus track In The Dark, veramente bellissima. 



Dopo questo “azzeramento”, possiamo apprestarci ad ascoltare il nuovissimo Stones Grow Her Name e vedere che cosa i cinque finlandesi ci hanno preparato questa volta. Come si diceva in apertura, tutto lascia intendere che recensire questo lavoro non sarà facile. Vedremo.

Spectraeon_86

domenica 13 maggio 2012

La Vecchia Signora è tornata!



“Alla Juventus vincere non è importante. È l'unica cosa che conta”
Così si espresse Giampiero Boniperti qualche anno fa, ribadendo il concetto anche a inizio stagione,  durante l’inaugurazione dello Juventus Stadium. Dopo due settimini posti, però i tifosi juventini vedevano in quell’affermazione soltanto una cosa: tanta nostalgia…
Risulta difficile scrivere qualcosa su questa cavalcata straordinaria, tanto si è già detto e scritto, nonostante ciò voglio comunque condividere con voi le sensazione provate.

Vince chi ha più fame”
Durante una delle conferenze stampa pre mondiale 2006, Marcello Lippi si espresse così in merito a chi gli chiedeva se l’Italia, che non partiva di certo favorita, avesse qualche chance di vincere il titolo. Verissimo. Però la fame non basta, il fatto di avere una storia alle spalle che pesa, il fatto di giocare per una squadra abituata a primeggiare nemmeno. Penso che la fame, la voglia, la grinta siano state determinanti per raggiungere il successo, ma sicuramente sono solo una delle componenti.

Per vincere ci vuole testa, cuore e gambe”
Antonio Conte, il mister, l’intuizione di Andrea Agnelli, ha stupito tutti. Me per primo, che ero scettico ad inizio stagione, non sulle sue qualità umane, non su quelle caratteriali e tantomeno sul fatto di sapere cosa volesse dire stare alla Juventus. Ero scettico sulla sua preparazione tattica, sulle sue doti di allenatore in se, con alle spalle due campionati vinti in serie B e un esonero in A all’Atalanta. Conte ha dimostrato un'intelligenza tattica assoluta, una capacità di preparare la squadra immensa. Volete dei dati? Aggiungendo il solo Lichtsteiner (e Caceres a gennaio), la stessa difesa colabrodo dello scorso anno (47 gol subiti) è risultata la miglior difesa (per distacco) della Seria A con sole 19 reti al passivo. In tutto ciò la mano dell’allenatore si sente, è stata fondamentale l’organizzazione di gioco che da inizio anno è stata impostata. Via le cervellotiche marcature a zone imposte da Del Neri, via il costante ripiegamento sulla zona debole del quinto difensore (l’ala); Conte ha impostato una difesa più alta, capace di risultare impenetrabile sia giocando a 3 che a 4. Uno dei segreti è sicuramente il fatto che la Juve sia stata la squadra ad aver concesso il minor numero di tiri in porta agli avversari, merito di reparti sempre stretti, di un pressing in posizione avanzata attuato perfettamente, come il Barcellona di Guardiola, senza dar tempo di ripartire agli avversari. Il mister mi ha stupito anche per l’elasticità mentale nell’adattare la sua idea di calcio ai giocatori a disposizione: solo i grandi allenatori sono in grado di farlo. Un altro grande merito è quello di aver riportato la giusta disciplina all’interno dello spogliatoio, basta interviste rilasciate giornalmente dai calciatori con promesse e sparate, basta screzi e ripicche di senatori svogliati (vero Camoranesi?). I complimenti però vanno fatti anche a tutto lo staff tecnico, che tramite un lavoro mirato è riuscito ad estirpare uno dei problemi maggiori della Juve degli ultimi 3 anni, gli infortuni soprattutto muscolari, quest’anno praticamente nulli (altro che colpa dei campi di Vinovo…).

Il pagellone che ora vi proporrò è il miglior modo che mi viene in mente per celebrare ogni singolo giocatore, mettendone in luce pregi e difetti, aggiungendo qualche dato statistico e assegnando loro un voto che ovviamente sarà più che opinabile.

# 1. Gianluigi Buffon
35 presenze. Chi lo dava per bollito ha dovuto ricredersi col passare delle giornate. Gigi è tornato quello dei mondiali, dopo due anni travagliati a causa dei problemi alla schiena, con tanto lavoro si è ripreso con pieno merito il titolo di miglior portiere al mondo. Fondamentale nel gioco di Conte per la sua fantastica capacità di utilizzare al meglio i piedi per far ripartire l’azione. Molti avranno in mente solo l’errore con il Lecce, io penso che quello sia stato solo un infortunio e se avessimo perso lo scudetto a causa di quell’episodio il mio giudizio non sarebbe cambiato di una virgola: uno dei segreti del nostro possesso palla sta nello riuscire a far partire sempre e comunque l’azione palla a terra, un errore a fronte di mille rischi è umano, il resto delle parate invece lo sono molto meno. Voto: 9.5


# 3. Giorgio Chiellini
33 presenze; 2 gol, 1 assist. Trascinatore, uomo ovunque, con la sua grinta nessuno in campo poteva permettersi di mollare un centimetro. Molti lo volevano lontano dalla Juve perché troppo falloso, irruento e sgraziato. Lui non ha dato peso a tutto ciò, rinnovando il contratto e tornando ad essere “il chiello carro armato” di sempre, dimostrando di essere uno juventino vero, oltreché uno dei migliori difensori italiani. Senza dubbio è stato quello che ha beneficiato maggiormente del cambio di allenatore: il suo modo di giocare era abbastanza inadatto alla difesa a zona e al tipo di marcature richieste da Del Neri. Partito centrale ha saputo adattarsi tornando a fare il terzino, per poi andare a formare quel trio fenomenale con Barzagli e Bonucci, giocando di fatto nel suo vero ruolo. Voto: 9


#4. Martín Cáceres
6 presenze; 1 gol. A questi numeri non si possono non aggiungere quelli della Coppa Italia, con quella doppietta strepitosa nel suo (secondo) esordio in maglia bianconera. Arrivato a Gennaio, si è inserito negli schemi di Conte alla perfezione da subito, dimostrandosi un giocatore maturo e molto duttile. Il suo acquisto era ben voluto da tutti, dirigenza, allenatore e tifosi, Martin ha subito fatto capire il motivo di tanta benevolenza nei suoi confronti. El Pelado è cresciuto molto rispetto alla sua prima esperienza in bianconero, ora è un giocatore su cui il mister potrà contare a tutti gli effetti, un titolare aggiunto. Voto: 7.5


#7 Simone Pepe
25 presenze, 6 gol, 3 assist. Fondamentale nel girone d’andata, e questo aggettivo non è riduttivo o esagerato. Con la sua presenza ha garantito il giusto equilibrio nel il 4-3-3 con cui la juve ha giocato tutta la prima parte di stagione. Rispetto allo scorso anno anche lui ha beneficiato enormemente del cambio di allenatore, riuscendo finalmente ad unire alla grandissima generosità e corsa, molta concretezza, soprattutto in zona gol con 6 reti, ma anche con continui tagli, ripiegamenti, contrasti e assist. Si è guadagnato il posto da titolare grazie soprattutto al suo acume tattico (ricordate quando si è messo a bordo campo a spiegare allo spaesato Elia i movimenti da fare?) e alla sua umiltà, perché le parole sopra citate di Conte hanno il loro valore. Voto: 8

#8 Claudio Marchisio
35 presenze, 9 gol, 4 assist. Numeri straordinari, che potrebbero già dire tutto sulla stagione del ex “principino” (ora principe), eppure non bastano. Conte ad inizio stagione era stato chiarissimo, dicendo che Claudio era un giocatore fondamentale per la juve del presente e per il futuro. Marchisio è sicuramente stato uno dei migliori, i suoi sono numeri da attaccante, da seconda punta, invece il suo mestiere è la mezz’ala, la più forte e completa che ci sia in Italia. Nella sua stagione c’è tanta sostanza, lui è Vidal sono uno dei segreti di questa juve, con la loro intelligenza tattica, con polmoni infiniti, sempre a pressare altissimi, anche più in là degli attaccanti, e poi via a chiudere in difesa. Claudio più del cileno, capace di inserimenti fulminei, smarcamenti da bomber di razza, dribbling, lucidità sotto porta e negli assist, tutto. Dal mio punto di vista (non me ne voglia il chiello) Marchisio rappresenta perfettamente l’incarnazione della juventinità, a prescindere dalle caratteristiche tecniche e tattiche. Voto: 9.5


#10 Alessandro Del Piero
22 presenze, 2 gol, 2 assist. Qui non parlerò del suo addio, di quello che rappresenta per noi tifosi, ci sarà modo e tempo per farlo, dedicandogli un pezzo ad hoc. La stagione del capitano dovrebbe esser presa, incorniciata e mostrata a tutti questi aspiranti “campioncini” che a 20 anni (o anche di più) pensano di essere arrivati, pretendono il posto da titolari e piagnucolano per tutto l’anno quando la juve (e non solo) li scarica in squadrette provinciali (ogni riferimento a Sebastian Giovinco è puramente voluto.) Mai una parola fuori posto, massimo impegno negli allenamenti, massima disponibilità, massima grinta ogni volta che è stato chiamato in causa, anche per i dieci minuti finali, magari a risultato acquisito, anche se ti chiami Del Piero, anche se hai fatto la storia di questo club, anche se non esiste nessun record con questa maglia che non ti appartenga. Già solo questo meriterebbe un dieci, ma c’è di più, c’è molto di più nella stagione del capitano, perché quando è arrivato il momento decisivo lui è stato fondamentale ancora una volta, nei big match di Coppa Italia, quelli da dentro o fuori, con Roma e Milan, ma soprattutto in campionato, con due soli gol certo, ma che gol! Uno nella partita più sentita e l’altro su punizione, decisivo per permettere alla juve non solo di battere la Lazio (che era terza) ma soprattutto di scavalcare il Milan, senza più perdere la testa della classifica. Ho cercato di godermi ogni singolo minuto giocato dal capitano, sapendo che erano gli ultimi, ho gioito come non mai ad ogni suo gol e domenica quando alzerà il trofeo di questo scudetto avrò una certezza: aveva ragione lui, ancora una volta. Voto 10+


#11 Paolo De Ceglie
21 presenze, 1 gol, 2 assist. L’avete vista la foto della sua macchina? Juventino vero anche lui, così come Marchisio proveniente dalle trafile, tutte, compreso l’anno in serie B. Paolino si è meritato la riconferma sul campo, migliorando tantissimo, favorito dal modulo a 5 di centrocampo che gli ha permesso di giocare nel suo vero ruolo. Si merita questa maglia, si merita questa vittoria. Voto 7.5




#14 Mirko Vucinic
32 presenze, 9 gol, 8 assist. Genio e sregolatezza, definizione banale quanto inappropriata a mio avviso. Mirko quest’anno è stato molto più fondamentale di quanto i giornalai e finti esperti abbiano compreso. Conte l’ha sempre dimostrato, con le presenze nella formazione titolare e anche in conferenza stampa. Vucinic è l’unico giocatore in rosa in grado di garantire un cambio di passo, creare superiorità numerica e allo stesso tempo una corsa continua dall’inizio alla fine. Lui stesso in un’intervista si è meravigliato di come quest’anno abbia capito e imparato a correre, a coprire (fondamentali certi suoi ripiegamenti). Mancava qualche gol? Si, perché li ha tenuti tutti in serbo per il finale di stagione, decisivo, anche con i suoi assist (8, tantissimi), ha fatto ricredere gli scettici. Per tutti gli altri lui è semplicemente “genio e sregolatezza”. Voto 9

#15 Andrea Barzagli
34 presenze, 1 assist. Il direttore sportivo del Wolfsburg si starà mangiando le mani (seh le mani..) per avercelo venduto alla bellezza di cinquecento mila euro. Un muro. Basterebbe questo, è l’unico dei titolarissimi a non aver segnato, ma ne ha salvati talmente tanti che quello è un dettaglio più che superfluo. Nel 2006 al mondiale aveva giocato solo una partita, peraltro molto bene, quest’anno Conte non l’ha mai fatto riposare, trovando un calciatore maturo, migliorato, senza dubbio per rendimento il miglior difensore della serie A. Voto: 9.5


#17 Eljero Elia
3 presenze. Vero oggetto misterioso, capace di ottime giocate individuali, ma poco incline al rigore tattico imposto dal mister. Ciò che mi ha stupito maggiormente in negativo è stata l’incapacità di comprendere movimenti e dinamiche di gioco nel corso dell’anno. Non puoi allenarti tutti i giorni con i tuoi compagni, provare e riprovare i movimenti e, dopo 6 mesi, quando ti viene data la possibilità di dimostrare il tuo valore, vagare per il campo spaesato. Voto: 5



#18 Fabio Quagliarella
22 presenze, 4 gol. Dopo 6 mesi fermo a causa di un grave infortunio al ginocchio non era facile tornare ai livelli ottimi del suo esordio (9 gol nelle prime 20 partite di campionato 2010). Conte a inizio anno, quando Fabio ancora non riusciva a dare il meglio, aveva detto che lo considerava un titolare, perfetto per la sua idea di gioco, e che dal momento in cui sarebbe tornato al 100% fisicamente l’avrebbe fatto giocare. Detto fatto, Quagliarella si è allenato con grande determinazione, ritrovando la forma migliore, le sensazioni che solo il campo sa darti, e infine i gol. La seconda parte di stagione dal mio punto di vista gli varrà una meritata riconferma. Voto: 8


#19 Leonardo Bonucci
31 presenze, 2 gol 1 assist. Così come Vucinic, anche Leonardo è stato più volte vittima di numerose critiche, a volte ingenerose, a volte giuste. Nella sua stagione ho visto un miglioramento netto con il passaggio alla difesa a 3, che ha esaltato le sue grandi doti di regista arretrato. Col passare del tempo è aumentata anche la sicurezza nei contrasti e la presenza in area; ad oggi dubito che Prandelli se ne priverà. Tutto ciò che è successo invece dopo la trasferta di Trieste dimostra solo quanto lui sia sempre stato uno juventino nel dna. Voto: 8.5



#20 Simone Padoin
5 presenze, 1 gol. Fortemente voluto dal mister nel mercato di Gennaio, si è dimostrato un centrocampista duttile, intelligente e soprattutto umile. Dubito che verrà venduto in estate, lui sa benissimo che non potrà partire da titolare e che con tutta probabilità arriverà anche un altro semititolare nel suo ruolo, ma a differenza di altri (Pazienza) preferisce giocarsi le sue carte in una grande squadra, con la possibilità di crescere e vincere qualche trofeo. Voto: 7



#21 Andrea Pirlo
36 presenze, 3 gol 13 assist. Il più presente, l’imprescindibile, il regalo, “quellochemancavadaanni”, chiamatelo un po’ come volete, per me rimane semplicemente Andrea Pirlo. Lo ammiravo col Milan e in nazionale, figuriamoci ora. Dopo un anno passato a riposarsi nella pensione di Milanello, su gentile concessione del simpatico Max Allegri (sempre sia lodato), Andrea è tranquillamente tornato a disputare una normale stagione da 40 presenze, come se nulla fosse, senza neanche sudare troppo. Mai sostituito, sempre lucido, capace di 13, dico TREDICI assist per i compagni, quasi increduli alle volte di trovarsi palloni così semplici da spingere in rete. La sua presenza in mezzo al campo è stata di un'importanza vitale per il gioco imposto da Conte, nessun allenatore è riuscito a fermalo, nemmeno quando si è provato a sacrificare un giocatore per marcarlo a uomo, troppo intelligente lui a spostarsi in posizione di mezz’ala, troppo atletico per reggere quel trotterello incessante per 90 minuti, e si sa, a Pirlo basta un attimo per inventare una giocata. Voto: 9.5

#22 Arturo Vidal
33 presenze, 7 gol, 3 assist. Top player di valore mondiale. Chapeau a Marotta che l’ha pagato 10,5 ml. Celia Punk, come si fa chiamare, si è adattato alla perfezione al campionato italiano, risultando uno dei giocatori fondamentali per la conquista di questo scudetto. Arturo ha una capacità innata nello sradicare i palloni senza che l’avversario se ne renda conto, anche da dietro è in grado di rubarti palla senza commettere fallo; è un giocatore con qualità aerobiche fuori dalla norma, corre, pressa più alto degli attaccanti, ripiega fin dentro l’area di rigore e poi è pronto al contropiede; ha un tiro potente preciso, la giusta grinta e determinazione che gli permettono di non mollare mai, nemmeno dopo aver tirato, lui continua a correre, sai mai che il portiere non la blocchi; ha una tecnica che per un giocatore con le sue caratteristiche mai ti aspetteresti, grande visione di gioco, calma e tranquillità nel saper fare la cosa giusta anche al lite dell’area, seriamente uno dei giocatori più completi che abbia mai visto. Voto: 9.5


# 23 Marco Borriello
13 presenze, 2 gol. Arrivato con la nomea del tronista, sopravvalutato, mezzo giocatore, Marco ha lavorato sodo, perché era l’unico modo per convincere Conte. A Roma aveva una condizione scarsa, impegnandosi è tornato atleticamente in forma, e così il mister, che ne apprezza molto il modo di giocare, ha iniziato ad utilizzarlo, continuando a farlo nonostante le prime presenze non siano state del tutto degne di nota. Il gol al Cesena, da 3 punti, decisivo per il titolo, avrà probabilmente un peso specifico nelle valutazioni della dirigenza. Non so se Marco rimarrà o meno, ma lo ringrazio comunque per l’impegno e l’abnegazione con la quale è stato in grado di far ricredere i tifosi. Voto: 7.5


#24 Emanuele Giaccherini
22 presenze, 1 gol, 1 assist. Nello scetticismo generale tutti si chiedevano l’utilità che potesse avere questo giocatore. Ve lo ricordare il “Giaccherini” urlato da conte in panchina con il gesto alla Toni? L’ha voluto, l’ha fatto giocare e ora tutti hanno capito il perché. Giak è un calciatore intelligentissimo tatticamente, che ha saputo inserirsi al meglio negli schemi, adattandosi anche a ricoprire un ruolo nuovo, la mezz’ala, con risultati più che soddisfacenti. Sicuramente una delle sorprese più liete, fondamentale nelle partite chiuse, con i suoi dribbling e i suoi inserimenti costanti. Complimenti davvero. Voto: 8.5


# 26 Stephan Lichtsteiner
34 presenze, 2 gol, 2 assist. Finalmente un terzino destro degno. Ammettetelo, è quello che avete pensato tutti dopo il 4-0 d’esordio contro il parma?! Maratoneta con due polmoni infiniti, capace di costanti proiezioni e sovrapposizioni, ma anche molto bravo a coprire, nelle diagonali difensive e nell’uno contro uno. Assolutamente un acquisto azzeccato. Voto: 8.5


#27 Milos Krasic
7 presenze, 1 gol. Tutti si aspettano la stagione dell’esplosione definitiva, quella che l’avrebbe consacrato come campione. Purtroppo non è stato così e in tutto ciò non vedo demeriti da parte di Conte. Nonostante Milos non capisse gli schemi, nonostante mal si adattasse a giocare nello stretto, il mister gli ha inizialmente dato fiducia, ma vedendo che  non c’erano miglioramenti effettivi, essa è cessata. Dispiace perché lo scorso anno è stato uno dei pochi a farci gioire, però i suoi limiti tattici oltre che tecnici sono troppo evidenti, farà sicuramente benissimo altrove. Voto: 5


#28 Marcelo Estigarribia
13 presenze, 1 gol, 1 assist. Arrivato in prestito quasi a sorpresa, dopo una gran Coppa America, El Chelo si è dimostrato un giocatore affidabile, utile e il suo apporto è stato importante in gare come contro Napoli e Roma. Nella seconda parte della stagione però Conte l’ha sempre meno utilizzato, preferendogli De Ceglie. Probabilmente non verrà riscattato, ma sicuramente avrà la possibilità di rimanere in europa nel calcio che conta. Voto: 7


#30 Marco Storari
2 presenze, più quelle in Coppa Italia. Nessuno in Italia può permettersi una coppia di portieri di questo tipo, il merito maggiore di Storari è stato quello di accontentarsi, preferendo giocarsi al meglio le occasioni ricevute, con la possibilità di vincere qualcosa, piuttosto che andare a fare il titolare altrove (Pazienza). Sempre sicuro, una garanzia. Voto 7




#32 Alessandro Matri
31 presenze, 10 gol, 4 assist. Per tutto il girone d’andata tra gli attaccanti segnava praticamente solo lui. Poi con l’arrivo di Borriello e il ritorno di Quagliarella ha perso il posto da titolare e quella sicurezza sotto porta che dallo scorso anno mai si era interrotto. Il finale di stagione l’ha visto in campo di rado, la sensazione è che davanti ad un offerta concreta non sarà considerato incedibile. Rimane pur sempre il miglior marcatore stagionale e la sua media gol con la maglia bianconera è quella di un bomber vero. Voto: 8

#34 Luca Marrone
2 presenze, 1 assist. Ha giocato di più in Coppa Italia, facendo vedere a tutti il motivo per cui Conte l’ha fortemente voluto in rosa, dopo che lo scorso anno è stato il titolare del suo centrocampo a 4 col Siena. Luca ha grandissime doti tattiche e tecniche, di fronte però aveva un trio di centrocampisti che giocherebbero titolari ovunque. Il prossimo anno probabilmente andrà a giocare, lo vogliono in tantissimi, si dovrà convincere Conte a cederlo, ovviamente solo in prestito perché il futuro di questo ragazzo sembra già scritto. Voto: 7




Che dire ancora? Si, la Juve ha vinto lo scudetto da imbattuta e questa è una cosa di cui bisogna andar veramente fieri, sia perché non era MAI capitato nel campionato italiano, sia perché dimostra quanto i ragazzi siano riusciti a rimanere concentrati, attenti, aggressivi, sul pezzo, in ogni singola partita disputata e si sa quanto la Serie A sia un campionato tutt’altro che scontato.

                                    

Non so cosa succederà il prossimo anno, chi arriverà, chi verrà ceduto, ma so che potremmo ripartire da basi solidissime, da un gioco fantastico, a cui la Juve non ha mai rinunciato per tutta la stagione, zero lanci lunghi, zero scorciatoie. Di questo ne andrò sempre fiero.
Grazie ragazzi.


Mywo

giovedì 10 maggio 2012

Law - Il lato oscuro della legge, il nuovo legal thriller di Star Comics

Dopo le storie noir di Nuvole Nere e le avventure horror di Legion 75, Star Comics propone un inedito fumetto italiano di genere legal thriller, molto di moda nella letteratura contemporanea e in televisione. 


In Italia questo tipo di narrativa, fatta di casi complessi affrontati in tribunale spesso in duelli di arguzia e retorica tra avvocati e magistrati, è strettamente legata ai prodotti mediatici provenienti dagli Stati Uniti, nelle cui courthouse bisogna impressionare una giuria di persone qualunque per far scagionare il proprio cliente o per far condannare l'imputato; il magistrato e scrittore barese Gianrico Carofiglio, durante l'ultimo decennio, è stato il primo autore nostrano a proporre storie appartenenti a questo filone, con i pluripremiati romanzi dell'avvocato Guido Guerrieri (che personalmente ho adorato). Per quanto riguarda le serie tv, basta citare l'esempio di Law & Order, che tra episodi regolari, spin-off e film televisivi ha superato le 900 ore di durata complessiva; è significativo, inoltre, il recente successo internazionale della serie di videogiochi giapponesi Ace Attorney, con i casi dell'avvocato Phoenix Wright, del difensore Apollo Justice e del procuratore Miles Edgeworth. I tempi, dunque, erano maturi per un fumetto italiano che ricalcasse i dettami e possibilmente il carisma delle storie di questo genere.

La miniserie Law, che consterà di 6 albi, è ambientata nell'odierna San Francisco. I protagonisti delle avventure dentro e fuori dalle aule sono i membri dello studio legale Cussler & Brandise, ognuno specializzato in un ruolo e una funzione narrativa: la "tigre" Gwen Brandise, da poco vedova di suo marito Bernard Cussler, dirige lo studio con fermezza e aggressività mediatica; Donnie Martini, ex agente FBI di origini italiane, ricorda i detective vecchio stile, con tecniche di interrogatorio e di risoluzione dei conflitti da vero mastino; l'avvocato Chris Sanders, tutto sorrisi affascinanti e parlantina sciolta, è "l'animale da tribunale" abile ad accattivarsi le simpatie del pubblico. I consulenti dello studio sono la psicologa Michelle Miller, incaricata di valutare clienti e giurati, e l'analista scientifico Nat Naik, esperto forense. L'ultima arrivata è Rachel Roth, un po' ingenua ed emozionale, che si troverà alle prese con la feroce Gwen e in generale con un concetto di giustizia decisamente diverso dal suo. Lo studio Cussler & Brandise, infatti, si muove secondo criteri crudi e realisti, se non cinici: l'importante è dare il giusto spettacolo, convincere la giuria e far assolvere il cliente, possibilmente senza farsi radiare dall'albo professionale per frasi e comportamenti irriverenti. Nel primo volume Fuori Tempo (96 pagine, 2,70 €), presentato in anteprima a Torino Comics, i nostri devono scagionare un'insegnante di arti marziali dall'accusa di aver ucciso un cantante che in passato fu suo amante.


Il pregio principale di questo primo numero di Law è indubbiamente la tecnica di disegno sfoggiata da Enza Fontana, molto realistica ed elegante; i volti sono molto convincenti e gli ambienti spesso ben dettagliati. A mio parere la copertina, opera di Fabiano Ambu (anche responsabile del character design), sortisce una buona impressione e il giusto impatto. La storia di Fuori Tempo, sceneggiata dai creatori della serie Davide Caci e Giorgio Salati, si dipana senza infamia e senza lode, con un ritmo abbastanza azzeccato ma qualche ingenuità nei procedimenti del processo; quel che può dare fastidio è l'utilizzo molto allegro di volti noti per i protagonisti. Come ben evidenziato anche dal blog Fumetti Brutti, il musicista ucciso è chiaramente Chris Martin, Chris Sanders ha le fattezze di Edward Norton, i volti e la relazione tra Gwen e Rachel ricordano immediatamente il film Il diavolo veste Prada, e così via. L'altro principale difetto è l'abbondare di frasi fatte, spacconate e cliché stantii presenti nei dialoghi, tentativo di ricreare un'atmosfera sopra le righe tipica dei telefilm americani che però risulta talvolta perfino grottesco.

Sul blog LAW sono disponibili approfondimenti sul fumetto e sulle sue citazioni, nonché collegamenti alla recensioni ricevute e informazioni sui suoi autori. Caci e Salati sono interessati al feedback dei lettori («Nessun processo è completo senza un verdetto»), inviabile sul blog o a lawcomics@gmail.com.

Lor

lunedì 30 aprile 2012

Dragon's Dogma, provata la demo per Playstation 3

La Capcom, la casa produttrice di saghe celebri come Devil May Cry e Resident Evil, si lancia nel mondo degli action rpg con un progetto ambizioso e un obiettivo quanto mai difficile, ovvero quello di riuscire a inserirsi in un ambiente dominato da giganti come The Elder Scrolls V: Skyrim e Mass Effect 3 (tralasciando poi i giochi “minori” come Dark SoulsKingdoms of Amalur: Reckoning o Dragon Age II). La demo, messa online il 25 aprile, ci serve da assaggio per capire come questo nuovo gioco tenti di distinguersi dalla massa.


Dopo aver installato la demo, avrete la possibilità, come in tutti i giochi del genere, di creare un vostro alter ego modificandone aspetto, voce e movenze. Fin qui, nulla di nuovo sotto il sole. Vi verrà poi offerta l’occasione di affrontare due mini-missioni: nella prima, chiamata “L’avvento”, faremo la conoscenza con il drago che dà anche il titolo al gioco stesso. Ma non lo affronteremo subito, ovviamente, mentre ci verrà data la possibilità di combattere dei semplici goblin e delle arpie fino ad arrivare a una chimera, ben più impegnativa dei precedenti nemici; nella seconda, chiamata “L’ombra dilagante della morte”, affronteremo, ancora una volta, un gruppo di goblin per poi vedercela con un bel grifone. 

Sicuramente la prima cosa che balza all’occhio è il sistema di combattimento, davvero profondo e molto più “action” di quello di Skyrim. Del resto il producer e il director del gioco sono Hiroyuki Kobayashi e Hideaki Itsuno: entrambi, in passato, hanno lavorato su Devil May Cry e Resident Evil, e la loro esperienza in fatto di combattimenti si nota tutta. I controlli del nostro personaggio sono molto reattivi e le possibilità di attacco sono varie: dai semplici attacchi leggeri e pesanti a mosse più particolari e potenti che si attueranno con la semplice pressione del tasto R1+triangolo, quadrato o tondo. Lo stesso avviene con lo scudo che non ha solo la semplice funzione di parare ma serve anche a contrattaccare e a sbeffeggiare gli avversari. Menzione d’onore per l’arco: con quest’arma non lanceremo una semplice freccia alla volta ma avremo la possibilità di effettuare un attacco più potente con il tasto quadrato (il nostro personaggio tenderà l’arco al massimo per poi scagliare un siluro), un attacco ad ampio raggio con il triangolo (verranno sparate in aria più frecce insieme in modo da creare una “pioggia di frecce”) oppure un attacco rapido con il tasto tondo (il nostro alter ego scaglierà tre frecce insieme verso il nostro bersaglio). 

Insomma, il sistema di combattimento è piuttosto ben fatto e appagante, ci trasmette davvero la sensazione di affondare i colpi. Peccato per la telecamera che non sempre segue a dovere l’azione e spesso crea molta confusione; manca ancora un mese all'uscita del gioco e spero che su questo punto gli sviluppatori riescano ad apportare qualche modifica, mal che va con una patch. Un'altra trovata interessante è quella della gestione dei “pedoni”, ovvero i vostri alleati: ne potrete avere fino ad un massimo di 4 e ci dovremo occupare del loro equipaggiamento e delle loro tecniche di battaglia. Questi pedoni sono ampiamente personalizzabili e, grazie all’online, potremo anche  scambiarli con altri giocatori. Il bello è che i pedoni si portano dietro i loro bagagli di conoscenze e di esperienze per cui ci potranno suggerire i punti deboli delle creature nemiche oltre che guidarci in luoghi a noi sconosciuti.

Da un punto di vista strettamente tecnico, il gioco si assesta sui canoni del genere; il design dei mostri è piuttosto banale per quello che ho potuto affrontare e vedere. Si sa ancora poco della storia ma le poche notizie trapelate fino a oggi fanno presagire la solita e scontata storia fantasy. Si impersonerà, infatti, un eroe morto per mano del drago che gli ha strappato il cuore dal petto e tornato in vita grazie a un incantesimo. Inizierà dunque la vostra caccia al mostro per riprendervi ciò che vi è stato tolto. Probabilmente il gioco non punta su una storia indimenticabile, ma su un sistema di combattimento davvero gratificante. Per quel (poco) che ho potuto provare,  Dragon's Dogma mi ha favorevolmente sorpreso, davvero. Può essere un'ottima alternativa ai due big del genere, anche se non sembra in grado di superarli; per una recensione definitiva, comunque, aspettiamo il 25 maggio. 
                                                                                                                                            HBK

venerdì 27 aprile 2012

Morsi di MMORPG #4: TERA, impressioni dalla open beta

Prodotto dagli sviluppatori sudcoreani di Bluehole Studios, The Exiled Realm of Arborea, meglio noto con il suo acronimo TERA, è un mmorpg pubblicato in patria a inizio 2011 e in d'arrivo in Occidente nei primi giorni di questo maggio. Tra venerdì 20 e martedì 24 aprile si è svolta una sessione di open beta, ovvero di prova libera per gli interessati: è stata la prima occasione per il grande pubblico nordamericano ed europeo di provare il gameplay del gioco, non limitato come in altri casi ai soli primissimi livelli.


Dopo il download del gioco, che pesa ben 25 gigabyte tra client e patch automatiche, ci si crea un personaggio con cui partire all'avventura. La prima scelta, come di consueto, è quella della razza: in TERA ce ne sono sette, ognuna con il suo aspetto caratteristico, la sua storia e le sue abilità particolari.  Oltre agli ovvi umani troviamo i demoniaci Castanics, gli aggraziati High Elves, gli enormi Baraka, i tondeggianti Popori, le loli (apparentemente bambine) Elin e i ferali Aman; a esclusione dei Popori e delle Elin, le varie razze sono disponibili in entrambe le versioni maschili e femminili. 
Avendo un debole per i personaggi robusti, per la mia prova della beta ho scelto un Baraka e ho resistito alla diffusa tentazione di chiamarlo Obama. La seconda selezione che occorre fare è quella della classe. Quattro delle otto possibilità riguardano lo scontro fisico: gli Warrior sono "pseudo-tank" che puntano tutto sulle schivate e sugli attacchi in movimento, i Lancer sono veri e propri tank che eccellono nella difesa a scapito della potenza offensiva, gli Slayer eccellono nel combattimento rapido e brutale con spade a due mani, i Berserker effettuano attacchi caricati devastanti ma sono penalizzati dalla loro lentezza. Le altre quattro classi sono l'Archer, che colpisce a distanza usando archi e trappole, il Sorcerer, che scaglia magie micidiali ma paga pegno con la sua fragilità, il Priest, classico curatore preziosissimo per i gruppi di giocatori, e il Mystic, tanto utile per i suoi buff a salute e mana quanto per le sue evocazioni di creature da battaglia. La scelta naturale per il mio Baraka è stata la classe del Lancer, così da creare il bastione difensivo più imponente possibile.

La prima piccola innovazione con cui si ha a che fare è il setting della sessione di gioco iniziale: anziché cominciare con il solito miserabile personaggio di livello 1 da impegnare con quest da lacchè, TERA ci lancia subito nel cuore di vicende importanti per la trama con il nostro alter ego già a livello 20, con tanto di equipaggiamento e skill adeguate. Il personaggio muove i suoi primi passi sulla spiaggia su cui è naufragato insieme alla flotta del comandante Elleon; dopo alcuni incarichi da tutorial si percorrono delle caverne infestate da mostri alla ricerca del capo, e si finisce ad affrontare, in gruppo, un grosso boss. Contro il successivo, come mostrato da una cinematica, invece non ci sarà alcuna possibilità di vittoria. Ed ecco che la gradevole sessione introduttiva cede il passo al solito lacchè di cui sopra, nei coloratissimi territori della Island of Dawn appena scoperta. 


Da qui in poi il gameplay segue i canoni fissati da altri titoli coreani, come ad esempio Aion, nell'occupare il giocatore con un sistema di quest centrate  sull'andare a parlare con npc di riferimento, sull'ammazzare X mostri e/o sul recuperare Y oggetti dai loro cadaveri o da item interattivi. La noia è stemperata dalle richieste modeste delle quest e soprattutto dal sistema di combattimento, più "fisico" e più dinamico della media. 
Complice l'alto livello grafico, che dà vita a creature molto dettagliate e a panorami quasi artistici, menare le mani in TERA è piuttosto divertente, specialmente grazie al ritmo delle combo, ovvero le concatenazioni di skill offensive che diventano sempre più dannose e soddisfacenti, e alla varietà nei pattern d'attacco dei mob, da imparare e prevedere per ottimizzarne le contromisure. Nel caso del mio Lancer, per concludere impeccabilmente un duello contro il mob di turno era necessario alternare stoccate con la lancia e parate con lo scudo: queste ultime consumano mana ma prevengono completamente i danni se attivate con il giusto tempismo, ed è essenziale capire se il nemico sta per lanciarsi contro il personaggio, per tirargli due schiaffi di seguito o per rotolarsi contro di lui per danni sequenziali. 
Alcuni tipi di nemici si muovono con un seguito di minion, minimostri che attaccano in massa. Nell'affrontarli è meglio usare degli attacchi ad area, AoE in gergo, che li colpiscano tutti insieme; i colpi perforanti con la lancia e una skill rotante del mio Lancer aiutavano nell'impresa, ma altre classi, come il Sorcerer, possono specializzarsi nel crowd control.  Le creature selvagge sono piuttosto varie: si va dagli alberi animati Ghilliedhu agli abominii Sporewalker, dai cerberi bicefali Cromos agli inquietanti Kariagon, Disc Reaper e Runekeeper. Nota di colore: gli onnipresenti mostriciattoli Terron non potranno che suscitare sarcasmo nel giocatore italiano.

Oltre al combattimento ci si può cimentare nel crafting di armi, armature, accessori, pozioni e quant'altro. Formazioni di minerali, piante speciali e cristalli energetici sono sparsi per i territori di gioco in attesa che qualche giocatore laborioso li raccolga, ne ottenga materiali di base per nuove creazioni e alzi così le proprie abilità inerenti, tipo Mining. 
Sebbene io abbia picconato pietre, tagliuzzato erbe e assorbito essenze fin dai primi livelli, non ho trovato le ricette necessarie al crafting fino al livello 10, quando ho raccolto le istruzioni per cucire un tessuto vegetale. C'è da dire, comunque, che la raccolta di ingredienti fa ricevere al personaggio dei buff nella rigenerazione o nella velocità utili nel combattimento, invogliando ad alternare spesso le due attività. Per forgiare nuovi equipaggiamenti bisogna trovarsi vicini a un fuoco da campo, presente negli accampamenti degli npc e accendibile ovunque con un apposito kit; al calore del fuocherello, inoltre, ci si ristora la Stamina, necessaria per attacchi più efficaci. Va poi detto che TERA stuzzica le ambizioni dei giocatori con una vasta quantità di achievement, cioè medaglie e titoli onorifici di ricompensa per determinati raggiungimenti, come l'aver ucciso un determinato numero di mostri, l'aver concluso una certa missione o un certo dungeon. Gli achievement sbloccati sono consultabili nel gioco in una pratica tabella ordinata per tipologie e completa dei requisiti necessari a ottenere quelli mancanti.


La open beta di TERA ha messo a disposizione dei giocatori l'avanzamento del personaggio fino al 32° livello, ma io mi sono fermato, per limiti di tempo, all'undicesimo, e in particolare dopo il primo grande boss fight contro il temibile Karascha, il mostro corazzato che aveva sconfitto la spedizione di Elleon. 
La missione per cui dobbiamo ridurlo a più miti consigli termina la trama principale di Island of Dawn e dà accesso al territorio successivo, in cui tra l'altro riceveremo la prima mount, un cavallo, come ricompensa per aver raggiunto il livello 11. Karascha risiede in fondo a un complesso lineare di caverne (di fatto la prima instance che ci viene proposta), che percorreremo, insieme a un utilissimo npc curatore, evitando o affrontando i mostri ivi residenti. Una volta giunti al boss bisogna rimboccarsi le maniche, ingollare eventuali pozioni di potenziamento, assicurarsi di aver indossato l'equipaggiamento migliore ottenuto fino a quel momento e attaccare usando al meglio le proprie abilità. Nel caso del mio Lancer si è trattato di parare i colpi più pesanti e di colpire nei momenti liberi, contando sui danni delle combo e sulle cure dell'npc di supporto, mentre Karascha si spostava qua e là. L'unico bug che ho riscontrato nella mia intera prova della beta è stato il riscontro della morte del boss da parte della quest, avvenuto qualche minuto in ritardo.


Il mio parere finale su questo assaggio di TERA è senz'altro positivo. Nonostante la sostanziale aderenza ai cliché dei mmorpg orientali, come la tendenza al farming tanto detestata da noi occidentali, essi sono ridotti e diluiti in un gioco visivamente affascinante, dallo stile narrativo più marcato del solito (anche grazie alle scene animate che presentano boss e punti di svolta) e dal sistema di combattimento appagante. Peccato che Bluehole Studios e i vari publisher del gioco abbiano optato per il pagamento a sottoscrizione anziché adeguarsi all'ormai dominante free-to-play, alienandosi l'interesse dei giocatori tirchioni come me; scommetto, comunque, che si arrenderanno alla formula "freemium" entro un anno o poco più.

Lor

giovedì 26 aprile 2012

The Avengers, i Vendicatori finalmente al cinema

Tanto vale mettere le cose in chiaro fin da subito: The Avengers è un film assolutamente eccezionale, uno dei migliori action movie di sempre, anche se sarebbe un errore considerarlo "solo" un film di genere. Si tratta di un film dall’azione e dai ritmi serrati che riesce a coinvolgere e divertire il pubblico in modo straordinario, regalando al contempo una delle migliori esperienze visive della storia del cinema.


Il film trova la sua forza nel riconoscere e valorizzare le sue debolezze: non c’è un protagonista, non ci sono veri colpi di scena e la pellicola non si prende sul serio, ed è per questo che evita il rischio più grande, il deludere i fan che lo attendono da quattro anni, da quando Nick Fury, nelle fattezze di Samuel L. Jackson, è spuntato dall’ombra dei titoli di coda di Iron Man (2008) invitando gli spettatori a unirsi all’"Iniziativa Vendicatori". La scelta di un film corale è dovuta alla presenza di una mezza dozzina di supereroi che hanno meritato (o meriterebbero, negli ultimi due casi) una pellicola tutta loro, dallo shakespeariano Thor (Chris Hemsworth) al redivivo Captain America (Chris Evans), passando per l’istrionico Iron Man (Robert Downey Jr.) al sorprendentemente carismatico Hulk (Mark Ruffolo, rimpiazzo del tutto accettabile di un Edward Norton che, ora come ora, si starà mangiando le mani per essersi rifiutato di riprendersi il ruolo del Golia Verde). Il regista Joss Whedon e gli sceneggiatori sono riusciti nel difficile compito di riunire un gruppo di attori e personaggi del genere senza che nessuno prevaricasse sugli altri, dando un certo peso anche alle figure, che rischiavano di passare in secondo piano, di Occhio di Falco (Jeremy Renner), l’arciere infallibile, e della Vedova Nera (Scarlet Johannson), letale superspia sovietica. La mancanza di grandi colpi di scena è forse l’unica pecca del film, ma per come è impostato il film, non è stata una mancanza particolarmente sentita. L’intero kolossal (perché, diciamocelo, The Avengers sarà ricordato quantomeno come uno dei più grandi kolossal d’azione di sempre) verte su ritmi serratissimi e su uno scopo estremamente semplice: intrattenere lo spettatore. 

Missione compiuta: il film ha una pesante vena umoristica che viene a galla quasi in ogni momento (la brutalità di Hulk ha spesso risvolti comici inaspettati) che coinvolgono lo spettatore, almeno nella sala ove ho assistito alla proiezione, dalle risate da mal di pancia alla standing ovation vera e propria. The Avengers è un film di cui si gode appieno se si ha avuto l’occasione di vedere i cinque film "antefatto", perché vanno a integrarsi in un immenso affresco meta-cinematografico fatto di riferimenti, autocitazioni e azione al cardiopalma che farà la felicità di appassionati e non.
Il film riesce a essere molto più che un semplice collage di battute "cult" (e ce ne sono parecchie), personaggi famosi e tanta adrenalina, e lo fa divertendo e appassionando la sala in un modo avvolgente e coinvolgente. Le scene d'azione sono una meraviglia per gli occhi, le battute esilaranti e i personaggi perfettamente caratterizzati grazie alle quasi dieci ore che hanno avuto i film precedenti per preparare la scena agli eroi di Nick Fury e dell’avvenente Maria Hill (Cobie Smouder, la bellissima Robin di How I Met Your Mother).

Venendo alla trama (occhio agli spoiler!), Loki (Tom Hiddleston), avversario e fratello del mitico Thor, manipola il supercecchino Occhio di Falco e un manipolo di soldati e uomini di scienza per impadronirsi del Tesseract, cubo cosmico dal potere illimitato che solo grazie all’intervento di Captain America, negli anni’40, non aveva permesso all’H.Y.D.R.A., associazione segreta nazista guidata dal temibile Teschio Rosso, di distruggere gli Stati Uniti. Grazie al Tesseract, alla manipolazione di Hulk e della Vedova nera e alla tecnologia di Iron Man, Loki riuscirà ad aprire un portale verso la terra ai suoi nuovi protettori, gli esseri alieni noti come Chitauri, e a dividere gli eroi inviati a fermarlo. Solo di fronte alla minaccia comune e alla presa di coscienza dei propri limiti, Iron Man, Thor, Hulk, Captain America, la Vedova Nera e un nuovamente fedele Occhio di Falco riusciranno a contrastare il nemico e a cementare il proprio rapporto, unendosi per combattere insieme come sotto il nome di Vendicatori, gli Eroi più potenti della Terra. Sconfitto e rispedito ad Asgard Loki, per i Vendicatori sarà tempo di ritornare alle proprie vite, ma gli eroi non sanno che chi ha fornito nuovi poteri e protezione a Loki, il potentissimo e folle Thanos di Titano, è solo in attesa di una nuova occasione per capire potere e annientare la Terra e gli eroi che hanno osato sfidarlo…

I prossimi appuntamenti per rivedere i Vendicatori in azione saranno a maggio e a novembre 2013, con l’uscita di Iron Man 3 e di Thor 2

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