
Titolo tradotto erroneamente con Paradiso amaro, l’originale è The descendants, ovvero “Gli eredi”. Matt discende infatti da un’antica famiglia nativa hawaiana, arrivata nell’arcipelago 150 anni fa, che ha lasciato in eredità a lui e ad altri cugini un appezzamento terriero, di cui però Matt è l’amministratore fiduciario. Da lui dipende quindi la vendita di tale terreno, che sembra ormai in procinto di esser realizzata.
Tanti i temi affrontati, dalla disgregazione della famiglia americana contemporanea, alle radici culturali e di sangue che ci legano alla terra, all’imprevedibilità dell’amore che va e che viene, all’imperfezione della felicità umana, fondamentalmente irrealizzabile. Centrale è la figura di Matt King, esempio di come la morale cristiana (rappresentata dal padre di Elizabeth) prenda spesso granchi, di come spesso la sofferenza renda davvero più forti (senza luoghi comuni) e di come l’essere umano sia imprevedibile, comportandosi nelle situazioni dolorose in maniera totalmente opposta (e più laicamente meritevole) a come agirebbe in una condizione di normalità.
Nominato a cinque premi Oscar (miglior film, miglior regia, miglior montaggio, miglior sceneggiatura non originale e miglior attore protagonista George Clooney), il film si è aggiudicato solo la statuetta della sceneggiatura non originale (scritta dallo stesso regista Alexander Payne, ma tratta dall’opera di Kaui Hart Hemmings, Eredi di un mondo sbagliato).
Bellissima la fotografia, e i contrasti cromatici.
Payne, dopo A proposito di Schmidt (2002), Sideways - In viaggio con Jack (2004) e dopo l’episodio del film corale Paris, je t’aime (2006) torna a far centro. Un film che deve essere letto (sì, perché i film, più che esser visti, dovrebbero essere letti) a strati: superficialmente una commediola forse un po’ irreale e incomprensibile, ma nella sua sostanza più profonda un dramma. Un dramma né triste né angosciante, nonostante la morte aleggi per tutta la pellicola: solo incredibilmente attuale, che ci ricorda di come nella vita non sia tutto o bianco o nero, ma che esiste una scala di grigi. Bellissimo.
Tanti i temi affrontati, dalla disgregazione della famiglia americana contemporanea, alle radici culturali e di sangue che ci legano alla terra, all’imprevedibilità dell’amore che va e che viene, all’imperfezione della felicità umana, fondamentalmente irrealizzabile. Centrale è la figura di Matt King, esempio di come la morale cristiana (rappresentata dal padre di Elizabeth) prenda spesso granchi, di come spesso la sofferenza renda davvero più forti (senza luoghi comuni) e di come l’essere umano sia imprevedibile, comportandosi nelle situazioni dolorose in maniera totalmente opposta (e più laicamente meritevole) a come agirebbe in una condizione di normalità.
Nominato a cinque premi Oscar (miglior film, miglior regia, miglior montaggio, miglior sceneggiatura non originale e miglior attore protagonista George Clooney), il film si è aggiudicato solo la statuetta della sceneggiatura non originale (scritta dallo stesso regista Alexander Payne, ma tratta dall’opera di Kaui Hart Hemmings, Eredi di un mondo sbagliato).
Bellissima la fotografia, e i contrasti cromatici.
Payne, dopo A proposito di Schmidt (2002), Sideways - In viaggio con Jack (2004) e dopo l’episodio del film corale Paris, je t’aime (2006) torna a far centro. Un film che deve essere letto (sì, perché i film, più che esser visti, dovrebbero essere letti) a strati: superficialmente una commediola forse un po’ irreale e incomprensibile, ma nella sua sostanza più profonda un dramma. Un dramma né triste né angosciante, nonostante la morte aleggi per tutta la pellicola: solo incredibilmente attuale, che ci ricorda di come nella vita non sia tutto o bianco o nero, ma che esiste una scala di grigi. Bellissimo.
Erin
1 commento:
"L'elaborazione del lutto che si mischia all'elaborazione del tradimento"
Ci tenevo tanto a dirlo!
Gran film, grande Clooney (pure con le camiciotti hawaiani)...mi sono ritrovato molte volte nelle sue reazioni..!
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